Confesso che mi ha fatto piacere quando Italo Bonassi m’ha chiesto di scrivere di Diego Gadler (Trento, 1912-1992), giornalista, scrittore e poeta, che conobbi nel 1976. Di lui fummo entrambi amici e ne frequentammo la casa, punto di riferimento per alcuni giornalisti, letterati, poeti e artisti locali, a cui dispensava suggerimenti e consigli. La cosa, tra l’altro, mi è anche agevole, perché nell’agosto 2010, nel n. 74 della rivista Judicaria di Tione (Tn), diretta da Graziano Riccadonna, è uscito un mio articolo scritto su di lui nel 2008, corredato da uno scritto critico inedito del 1993 di Paolo Toniolatti e dallo schedario del materiale, che il figlio Alessandro ha donato nel 2007 alla Biblioteca comunale di Trento. Ma mi ha fatto piacere, anche perché, in questo mondo globalizzato, ormai dominato dell’elettronica di consumo, l’arte e la cultura stanno cambiando velocemente pelle e contenuti, oltre che strumenti di diffusione. Tutto è più veloce ed effimero. E se tanti artisti, scrittori e poeti di levatura nazionale

rischiano di rimanere nel dimenticatoio, per quelle figure, che hanno operato a livello locale, l’essere scordati per sempre si prospetta come una certezza. Quindi, ricordare Diego Gadler, ancorato al mondo del cartaceo e della macchina da scrivere, è un po’ rendergli giustizia, perché nello scorrere del tempo, purtroppo, tutto si appiattisce per poi svanire più o meno repentinamente. E, se si chiedesse di lui nell’ambiente degli addetti ai lavori, non essendovi più coetanei, è probabile che, per ragioni anagrafiche, se ne ricordi ormai solo qualche ultrasessantenne. Diego Gadler, socio di associazioni culturali come la “Dante Alighieri” e il “Circolo culturale Rezia”, era assiduo frequentatore di conferenze e convegni culturali che si tenevano in città. Il luogo da lui prediletto era senza dubbio il “Centro Rosmini”, anche se frequentava il Centro culturale “Fratelli Bronzetti” e l’Associazione “Pro Cultura” di Trento. Da giovane frequentò la casa della poetessa Nedda Falzolgher, sul fiume Adige, e in seguito ebbe contatti epistolari con lo scrittore Cesare Zavattini e il poeta Marino Moretti. Gli faceva visita a Trento il poeta Alfonso Gatto. Era figlio d’arte. Suo padre Arcangelo era giornalista, botanico e autore di testi di erboristeria, latinista e grecista, autore del romanzo Chioma di fuoco e, come storico, di Effemeridi storiche, pubblicazione uscita a Rovereto a inizio Novecento e spesso citata in passato da qualche operatore culturale locale. Aveva tre fratelli e una sorella. Il fratello Achille, appassionato di alpinismo, è stato per diversi anni presidente della SAT e autore di numerose guide alpinistico-escursionistiche. L’unica sorella, Ester, morì improvvisamente a 28 anni. Le nostre famiglie si frequentavano e le volte che si andava a passeggio alle pendici del Calisio, ci si dissetava alle fontane di Moià e Maderno. Ci si godeva i panorami e la natura, ed era in quei frangenti che a Diego lo soccorrevano i ricordi di suo padre botanico. Lui avvertiva lo scorrere inesorabile del tempo e nutriva un “segreto terrore” della morte. Aveva attraversato due guerre mondiali e, anche se durante la Grande guerra era un bambino, o forse proprio per questo, i traumi dovuti alla sofferenza per tante tragedie, seppure in apparenza rimossi, erano rimasti a covare nel suo subconscio. E poi, la perdita della cara sorella Ester aveva lasciato in lui un dolore e una mancanza senza lenimenti. Era un uomo esile, schietto e garbato, che amava fare la conoscenza dei giovani, per aggiornarsi nella vita e capire quali avrebbero potuto essere le nuove leve culturali a farsi avanti. Curato nella persona e nel vestire, era d’animo assai gentile e galante con le signore. Talvolta sapeva scherzare ed essere sardonico tra gli amici. Da giornalista collaborò con L’Avvenire d’Italia, L’Adige e, soprattutto, col Gazzettino di Venezia. Senza condizionamenti di sorta, raffinato e curioso, molte energie le dedicava allo studio di autori che lo affascinavano e che, in qualche misura, lo influenzavano: fra tutti Kafka e poi Goethe, Mallarmé, Valery, Valeri, D’Annunzio e Palazzeschi. Pubblicò in vita due raccolte di poesie, Paese di giovinezza e Arpa, e tre di racconti: Ogni anno fiorisce la mia valle, Leggende e fiabe e I sentieri della memoria. Diversi racconti, creati probabilmente tra il 1970 e il l980, alcuni dei quali ispirati al territorio del Bleggio, da lui molto amato e dove ogni anno passava le ferie estive con la famiglia, sono rimasti inediti, assieme a diverse poesie sparse. Rapito dal bello che lo circondava, dalla percezione spirituale, dallo stupore che gli provocava e dall’esigenza di comunicare tali sensazioni agli altri, aveva una coscienza e uno stile molto lirici nello scrivere sia i racconti – quasi sempre brevi e con un senso di apologo – che le poesie. E a tale inclinazione è rimasto fedele, senza essere scalfito dall’ermetismo prima e dal neorealismo poi. Nei versi “L’anima mia, ch’è fatta di un sospiro, / arpeggia e suona come un madrigale / fra le righe di pioggia e l’aria azzurra. / Al mio posto cammina un fiordaliso.” tratti dalla sua poesia “Pioggia di primavera”, Paolo Toniolatti identifica un autoritratto poetico di Diego Gadler. E i versi “Dove sono dove sono le parole / ch’erompano in limpide fiamme dal sangue, / alzando smaglianti sogni, vaghi mondi, / beltà ideali levando da l’oblio?” – una quartina della poesia “Prisma”, tratta dalla sua prima raccolta, Paese di giovinezza del 1939 –, denotano una severa autodisciplina nella scelta e aggregazione delle parole, ma al contempo un’autocoscienza che sfugge al rigore formale per farsi percezione esistenziale. (Questo testo, uscito in gennaio 2011 sui Quaderni del Gruppo Poesia 83 di Rovereto (Tn), è fruibile anche nel sito www.angelosiciliano.com).   Zell, 18 dicembre 2010 Angelo Siciliano