Conobbi Diego Gadler (1912-1992), giornalista, poeta e scrittore, una sera del 1976, per via della poesia, al circolo culturale “Rezia”, che teneva le sue riunioni nell’allora sede del “Centro Rosmini” in Largo Carducci. Ricordo che il direttivo del “Rezia”, di cui faceva parte Mario Grassi, anche lui poeta, cercava di fare del proselitismo definendo le linee operative, per portare la poesia tra la gente, con delle letture abbinate a delle mostre d’arte e organizzando dei veri e propri “spettacoli” poetici nell’allora funzionante cinema Dolomiti.Personalmente non condividevo quel modo di diffondere la poesia e intervenni in dissenso con quella linea che si voleva far passare. Poiché ciò che dissi suonò come voce isolata meritevole di riprovazione, lasciai la riunione. Avevo fatto poche decine di metri per far ritorno a casa ed ero in via Mantova, deserta a quell’ora, che improvvisamente mi sentii chiamare ad alta voce alle spalle: «Giovane, ehi giovane!». Mi voltai e vidi un signore, vestito con cura, con cappello in testa e borsa in mano, che mi rincorreva e voleva parlarmi. Mi fermai. Si presentò e mi chiese chi fossi e da dove arrivavo. Gli risposi che ero un irpino arrivato a Trento da circa tre anni, con un incarico di insegnante e tanta voglia di lavorare, ma di fare anche arte e poesia. Lui era Diego Gadler di 64 anni. Mi fece un’impressione incoraggiante nel dirmi, con grande cortesia, che condivideva il mio punto di vista, espresso in quella riunione. 

E poi aggiunse che anche l’artista Tullio Garbari (Pergine Valsugana 1892 – Parigi 1931), negli anni Venti aveva sbattuto la porta ad una riunione di quella che era, in quegli anni, la prima versione del circolo “Rezia”. Garbari non vi avrebbe fatto più ritorno. Questo era Diego Gadler: un uomo esile, schietto e gentile, che amava conoscere i giovani, per aggiornarsi nella vita e capire quali avrebbero potuto essere le nuove leve culturali a farsi avanti. Io non mi sarei iscritto al “Rezia”. Lui, che ne era già socio, come lo era pure della “Dante Alighieri”, avrebbe continuato ad esserlo negli anni successivi, aggiornandomi talvolta sulla loro attività. Con Diego Gadler e sua moglie, Rosetta Bracchetti (1912-1995), insegnante d’arte e pittrice allieva di Gino Pancheri, avremmo stretto dopo quella sera un lungo sodalizio familiare, affettivo e culturale, fatto di scambi di pranzi, feste, complicità e viaggi insieme. Naturalmente erano della partita anche mia moglie e i nostri figli, che vedevano nei Gadler i nonni del nord. E il loro figlio, Alessandro, è diventato nostro “fratello” di Trento.La loro casa in via S. Vigilio, quasi dietro il duomo, era sempre aperta per noi, ma non solo per noi. Ricordo che altri amici li frequentavano e talvolta erano a pranzo da loro: lo scrittore Carlo Cimadom, creatore della “Fata Culona”; Mario Bernardi, figlio del pittore Carlo, che scendeva da Predazzo, per delle commissioni in città, e si tratteneva da loro; il geometra Ferruccio Toller; il barone Adolfo De Negri di S. Pietro e la sua signora; Paolo De Domenico, addetto stampa dell’Ente Provinciale per il Turismo; il critico d’arte Rinaldo Sandri; alcuni amici del figlio, che arrivavano da fuori città.Rosetta aveva un’inclinazione per la filantropia e, ogni settimana, si presentava a casa loro un anziano inventore di Pergine, Attilio Carlin, un po’ malandato e senza pensione, che non aveva fatto fortuna nella vita con le sue ricerche. Lei lo aveva “adottato”, lo ospitava a pranzo e gli dava anche la paghetta.Per spiegare, a noi meridionali, com’erano fatti i suoi genitori, Alessandro ci confidava che essi erano i “terroni” del Nord.Diego, che da giovane frequentava la casa della poetessa Nedda Falzolgher, aveva continui contatti con diversi artisti, poeti e letterati di Trento. Alcuni giornalisti praticanti lo cercavano per farsi correggere gli articoli. Qualche poeta gli sottoponeva le proprie poesie per un giudizio. Mi raccontava che la volta che si recò a intervistare Arcangelo Dallabrida, pittore che operava nell’ambiente del lago di Caldonazzo, fu investito dalla sua veemenza: «Sono il più grande pittore del mondo!». Ma aveva contatti anche con personaggi nazionali. Veniva a trovarlo a Trento il poeta Alfonso Gatto. Aveva avuto qualche contatto con lo scrittore Cesare Zavattini e il poeta Marino Moretti.Era figlio d’arte Diego. Il padre Arcangelo era giornalista, botanico e autore di testi di erboristeria, latinista e grecista, autore del romanzo Chioma di fuoco e, come storico, autore di Effemeridi storiche, pubblicazione uscita a Rovereto a inizio Novecento e spesso citata in passato da qualche operatore culturale locale.Diego aveva tre fratelli e una sorella: Franco, fotografo; Carlo dipendente delle acciaierie di Bolzano; Achille, contabile prima alle Aziende agrarie e poi ai Magazzini Nicolodi, appassionato di alpinismo, che è stato per diversi anni presidente della SAT e autore di numerose guide alpinistico-escursionistiche; l’unica sorella Ester, scomparsa improvvisamente a 28 anni.Rosetta aveva un fratello preside, Giuseppe, e una sorella, Valentina, Tina per gli intimi, che era l’unica dei tre a non avere studiato, per fare da infermiera a suo padre, gravemente malato e poi invalido per molti anni. Rimasta nubile, era poi passata a gestire la casa di famiglia e i quattro nipoti. D’estate accompagnava la famiglia Gadler a Fiavé, dove si passava l’estate insieme, sempre nella stessa casa presa in affitto.A Fiavé, dove da Bolzano si era trasferito dopo la pensione, viveva Carlo, il fratello di Diego, con sua moglie, e aveva comprato casa in località Cornelle.Diego e Rosetta amavano il Bleggio e le Giudicarie, e a Fiavé Diego aveva diversi amici, tra i quali Graziano Riccadonna, il pittore Farina e il barbiere Pippo Cicero, un personaggio molto simpatico, originario di Lentini (SR), che, una volta in pensione, se ne sarebbe tornato al Sud con la moglie.Noi andavamo a fare visita alla famiglia Gadler a Fiavé alla fine di ogni estate, al nostro ritorno dal Sud, e ogni volta era come un rito: dopo la passeggiata mattutina, si pranzava e di pomeriggio si andava alla scoperta delle bellezze dei paesi vicini.

 

Grazie a Rosetta e a Diego avevamo conosciuto e amato anche noi il Bleggio e le Giudicarie. Avevamo scoperto distese di campi coltivati a mais e paesi incredibili: Campo Lomaso e la storia delle sue case coi tetti di paglia; la splendida Villa Luti, sempre a Campo Lomaso, che prima di diventare ristorante si chiamava Villa Lutti, frequentata da Andrea Maffei, intellettuale e letterato trentino dell’Ottocento, amico dei musicisti Bellini, Donizetti e Verdi; la bella chiesa a cinque navate di Vigo Lomaso; Dasindo, il paese natale del poeta romantico Giovanni Prati; fatto il passo del Durone e poi la strada lungo la riva sinistra del Sarca, avevamo scoperto le cascate di Stenico, il suo magnifico castello e poi le Terme di Comano; si attraversava talvolta il passo del Ballino per il lago di Tenno.Un pomeriggio, dopo esserci preannunziati per telefono, facemmo visita al pittore Carlo Sartori, a Poia. Già allora produceva opere che ha poi ripetuto in tutti questi anni e ancora oggi dipinge. Ci accolse con grande cortesia. Aveva uno studio grande e ordinato e una stanza ampia, ai cui muri erano appesi dei quadri grandi che aveva scelto di non vendere, ma di tenere per sé.Un anno Diego ci portò a visitare le palafitte di Fiavé, dove ci presentò l’archeologo Carlo Perini, che dirigeva gli scavi, che venivano aperti ad anni alterni. Il loro scopritore era stato don Luigi Baroldi, che nel 1893 pubblicò l’opuscolo Memorie di Fiavé e delle Giudicarie, in cui parla delle palafitte di Fiavé e fa riferimento agli studi dello svizzero Ferdinand Keller, presidente della “Sociétè des antiquaires de Zurich”, il primo a fare l’ipotesi che i pali emersi dalle acque del lago di Zurigo nell’inverno 1853-1854 altro non sono che le fondazioni di capanne erette sull’acqua. Anche se don Baroldi pensava che le palafitte fiavetane erano una difesa contro gli animali feroci, ipotesi smentita dagli scavi intrapresi a partire dal 1969, il suo interesse e la divulgazione di questo sito archeologico permangono tuttora in tutta la loro importanza. Nel 2006 sarebbe stato inaugurato a Fiavé l’Ecomuseo della Judicaria, che espone materiale e oggetti riguardanti le palafitte.Quando i Gadler venivano a trovarci a Zell, facevamo passeggiate sopra Cognola, Moià e Tavernaro alle pendici del Calisio e ci si dissetava alle fontane di Moià e Maderno. Ci si godeva la natura ed era in quei frangenti che a Diego lo soccorrevano i ricordi di suo padre botanico. Lui avvertiva lo scorrere inesorabile del tempo e nutriva un “segreto terrore” della morte. Aveva attraversato due guerre mondiali e, anche se durante la Grande guerra era ancora un bambino, o forse proprio per questo, i traumi dovuti alla sofferenza per tante tragedie, seppure in apparenza rimossi, erano rimasti a covare nel profondo del suo subconscio. E poi la perdita della cara sorella Ester aveva lasciato in lui un dolore e una mancanza senza lenimenti.In agosto 1979 furono nostri ospiti al Sud per un paio di settimane. La prima la trascorremmo a Napoli, città di mia moglie, a visitare vie e piazze della città, le sue chiese e i suoi musei. Un giorno lo dedicammo a Pompei e Rosetta rimase estasiata davanti agli affreschi che le ricordavano tanto alcune opere di Tullio Garbari. La seconda settimana fummo nel mio paese natale in Irpinia, Montecalvo Irpino, dove si immersero nella civiltà contadina, ancora arcaica e intatta. Per certi versi, i comportamenti dei contadini irpini non erano molto diversi da quelli della gente dei paesi di montagna del Trentino. E nelle campagne ancora resisteva qualche pagliaro: costruzione arcaica col tetto di paglia tanto simile, per questo particolare, alle case di Campo Lomaso di inizio Novecento.Diego ha pubblicato due raccolte di poesie, Paese di giovinezza e Arpa, e tre di racconti, Ogni anno fiorisce la mia valle, Leggende e fiabe e I sentieri della memoria. Diversi racconti, creati probabilmente tra il 1970 e il l980, alcuni dei quali ispirati al territorio del Bleggio, sono rimasti inediti, assieme a diverse poesie sparse. Era stato collaboratore dei quotidiani L’Adige e, soprattutto, del Gazzettino.Nunzio Carmeni, preside e critico letterario, prima che morisse, era intento a un lavoro critico sull’opera di Diego, di cui non si sa più nulla.Diego rifuggiva dall’essere clientelare, non sapeva arruffianarsi e non correva in soccorso del politico vincitore, come satireggiava Ennio Flaiano, e si portava dentro una personale amarezza, custodita con dignitoso riserbo, di non avere la disponibilità economica per pubblicare i suoi inediti.Era curato nella persona e nel vestire, d’animo assai gentile e galante con le signore. Talvolta sapeva essere sardonico tra gli amici. Era assiduo frequentatore degli incontri culturali che si tenevano in città. Aveva una coscienza e uno stile molto lirici nello scrivere i racconti – quasi sempre brevi e con un senso di apologo – e le poesie. E a questa inclinazione era rimasto sempre fedele, senza essere neanche scalfito dall’ermetismo prima e dal neorealismo poi.Il suo archivio, dopo essere stato ordinato meticolosamente da Paolo Toniolatti, nel 2007 è stato donato dal figlio Alessandro alla Biblioteca Comunale di Trento, che attualmente sta procedendo alla catalogazione e archiviazione del materiale. Entro un anno, i lavori dovrebbero essere ultimati e potrà essere organizzata una serata per la presentazione al pubblico di questa acquisizione.Nel suo necrologio sul quotidiano L’Adige del 15 aprile 1992, Aldo Nardi definiva Diego Gadler “poeta nascosto”, perché l’ambiente culturale trentino gli rimproverava di non essere un creatore di rilevanti raccolte di racconti o poesie. Ma Nardi puntualizzava che molte delle sue energie, lui le aveva dedicate allo studio di autori che lo affascinavano e in qualche misura lo avevano influenzato: fra tutti Kafka. Va aggiunto che anche altri autori erano stati per lui punto di riferimento: Mallarmé, Valery, Valeri, D’Annunzio e Palazzeschi.Rosetta era una pittrice figurativa, la cui arte riecheggiava il ritorno all’ordine dell’arte italiana degli anni Venti del Novecento. Dipingeva, con personale gusto e passione, nature morte e scorci di paesaggi. Partecipava ogni anno alle mostre collettive con la Fidapa di Trento e, talvolta, aveva la compiacenza di chiedermi qualche parere a riguardo delle opere da scegliere per l’esposizione.Recentemente ho digitalizzato, e poi trasferito in formato word, il testo critico dattiloscritto di Paolo Toniolatti, “I COLORI DELLA PAROLA”, che lui consegnò alla famiglia e a noi amici, dopo la serata che tenne al Centro Rosmini di Trento, il 26 aprile 1993, su incarico di Kaos, associazione di poeti di Trento non più esistente ormai da anni, per ricordare la figura di Diego Gadler, uomo e letterato. In esso, l’opera letteraria di Diego, è analizzata e valutata criticamente in modo esaustivo.

   
   

 

           
VOLERAI*
 
Volerai con ali conserte a sudario
la camicia celestrina
si chiuderà il portone senza picchiotto
un bel daffare ai dionisiaci
a schivare le mani ghiacciate
della Dama scura.
 
T’attristava il finire del giorno
e a piccole dosi hai inspirato
la primavera che ad aprile
t’ha reso alla Terra Madre.
 
Alla comunità defunta
i figuranti pressano ma ottenere
pasti frugali è improbabile
neppure utili a riesumare
antichi culti.
 
Solo la dipartita rinsalda legami
tra i superstiti ma per poco.
Se sfuggirai al paradiso dei poeti
e t’incarnerai fanciulla
altro cantore intuirà
grazie nascoste.
 
Zell, 14-17 aprile 1992
Angelo Siciliano
 
* A Diego Gadler
 
                 Zell, 30 aprile 2008                                                             Angelo Siciliano
 
 

 
“I COLORI DELLA PAROLA” : ricordo di DIEGO GADLER
Presentazione di Paolo Toniolatti
Centro Rosmini – Trento, 26 aprile 1993
Ricordo di Diego Gadler. Così la locandina. Io preferisco definire questa iniziativa come incontro con un amico. A questo incontro siamo in molti, una prova in più della simpatia, della stima, dell’affetto che hanno legato Trento a Diego Gadler.
Un grazie affettuoso devo alla moglie di Diego, la signora Rosetta, che è presente tra noi: senza la sua collaborazione questo mio lavoro non sarebbe stato possibile. Collaborazione e fiducia che mi hanno consentito di accedere alle carte preziose del poeta, nella sua casa.
Abbiamo appena ascoltato le parole di Giovanni Duca, il ricordo di un’amicizia. Parole di poeta, che sanno andare al cuore degli uomini e delle cose. Altre parole vorrei proporre questa sera: quasi a delineare un medaglione della figura di Diego, un profilo intessuto da voci diverse.
Adele Di Marco lo ricorda sempre presente nelle sale di cultura, “puntuale ad ogni incontro, sorridente, galante”. Franco de Battaglia lo ricorda“ sempre acuto, raffinato, curioso”, caratterizzato da “una dimensione umana libera”. Aldo Nardi ne coglie “la figura esile, i modi cortesi, il passo deciso”.
“Uomo buono” lo definisce Graziano Riccadonna, “intento al dialogo, come Socrate”. Italo Bonassi ne ricorda “il sorriso pungente, la battuta anche acre”. Amelia Tommasini ha colto “nei suoi grandi occhi chiari uno sguardo profondo e molto vivace che dapprima metteva soggezione, poi invitava al dialogo”.

 E dal dialogo con Amelia, ricercatrice attenta e “discreta” del mondo dei poeti, esce la concezione della poesia in Diego, come bisogno di comunicare la bellezza e accanto l’annotazione di “si deve trovare corrispondenza…”, dai molti significati, dalle molte venature. E anche il richiamo alla solitudine del poeta. Solitudine che in Diego è in primo luogo uno spazio per la riflessione e per la meditazione.   “L’anima mia, ch’è fatta di un sospiro, arpeggia e suona come un madrigale fra le righe di pioggia e l’aria azzurra. Al mio posto cammina un fiordaliso.   Sono versi della poesia di Diego Pioggia di primavera. Li propongo come un autoritratto, intimo, lieve. Magari integrandolo con alcune annotazioni che Diego fece nel suo ultimo scritto, il 27 gennaio 1992, rievocando l’amico Livio Bonetti. Gli riconosce il “dono innato della misura”, un “animo sereno e forte”. C’è qualche cosa di sé, una prossimità. Ciò io avverto e penso di non errare. Mi si permetta un ricordo personale. Ho conosciuto Diego nel 1958. Fu la prima persona con cui parlai di poesia, fu il primo poeta che mi toccò di conoscere in carne e ossa, come persona. Lo incontravo spesso in quegli anni al Circolo “Fratelli Bronzetti” e alla “Pro Cultura”, quasi un pendolo entro il quale un giovane liceale si misurava con le idee, con l’arte. Diego era un affabulatore paziente e affascinante, capace di ascoltare l’ansia, il bisogno di conoscenza e di emozioni di un giovane. Un’ansia che era culturale e insieme politica.

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Nel momento in cui mi accingo ad abbozzare il percorso di poeta e di scrittore di Diego, non posso rimuovere una sua certa idea della critica, dei critici.

“Come si può sovrapporre il proprio pensiero, il proprio orientamento critico a una cosa che non è nostra? Lo facciano certi critici, arzigogolando stoltamente, a lungo, sovente su fatti non esistenti nel testo, ma col proposito scolastico e libresco, di mostrare quanto sono “bravi”. Un poeta può solamente accettare o respingere”.

 Sono parole di Diego in una lettera alla poetessa Anna Maria Ercilli, che, proprio in nome dell’amicizia, mi ha permesso di offrirle alla nostra comune attenzione. Un altro tassello di vita, nella verità. Sono parole recenti, del 1991. Avendo accettato di rompere il muro, spesso prezioso, del silenzio, cercherò almeno di attenermi a queste severe indicazioni. Paradossi, contraddizioni. Ma così è la vita.

 

“...la sua poesia si collocava quasi per intero al di là degli accadimenti concreti, ed era soprattutto sentimento e pensiero dei moti dell’anima, commozione e trasalimento sensitivo di respiro cosmico; era percezione spirituale dell’inespresso e dell’inesprimibile; era stupore colmo di intuizioni spirituali supreme.”

 

Ancora parole di Diego, del 1989. Parole sedimentate a lungo, basterebbe leggere i vari rifacimenti di questo suo intervento su Nedda Falzolgher. Ci sono affinità umane, letterarie, spirituali. Fili misteriosi, arcani. Così come quando Diego ribadisce il potere trasfigurativo della parola poetica, l’essenza del vero poetico rispetto a quello “realistico”. O quando coglie in Nedda una “perfetta umiltà dinanzi al mistero”. Ho scelto di dare la parola il più possibile a Diego. Come non percepire la poesia “Prisma”, contenuta nella sua prima raccolta, Paese di giovinezza del 1939, come una sorta di manifesto poetico?   Dove sono le misteriose parole, le parole luce le parole gioia, per disseppellire da profondi abissi la bellezza perfetta che ama il mio cuore:   voce immensa del vento fra gli abeti, soavi luci labili, ombre strane, autunnali notturni, inobliati!, fontane di splendori a primavera, gamme di fiori, trilli d’usignoli?   Dove sono dove sono le parole ch’erompano in limpide fiamme dal sangue, alzando smaglianti sogni, vaghi mondi, beltà ideali levando da l’oblio?   Potremmo cercare le radici di questo linguaggio poetico che si nutre in modo originale di una severa disciplina nella scelta delle parole, sullo sfondo di una poesia italiana ed europea che tanti mutamenti ha conosciuto, a partire dai crepuscolari, dai futuristi, con rotture della tradizione prima e dopo la prima guerra mondiale. Pensiamo che nella stesso anno, il 1939, esce la raccolta Le occasioni di Montale. Differenze tematiche, diversi livelli di profondità. Le molte voci della coscienza, della cultura. Diego Gadler scrive versi e racconti con misura: nessun eccesso quantitativo, molto controllo formale, senso della parola “bella”, per certi aspetti “definitiva”. Lavoro di anni. Cogliamo subito i mutamenti nella seconda raccolta poetica, Arpa del 1953. C’è una maturazione del linguaggio, una maggiore essenzialità, un prosciugamento del parola. Sono percorsi personali ma c’è di mezzo una volta ancora l’esperienza traumatica della guerra, l’impatto con il dolore. Lo stile si modifica, c’è una venatura realistica che andrebbe seriamente indagata. Mario Malloggi può cogliere allora i “segni” di Mallarmé e Valery, di D’Annunzio e dei post-impressionisti, le suggestioni tardo romantiche e “crepuscolari” di Böklin, accanto a quelli di Quasimodo. L’ascolto delle poesie ci aiuterà a cogliere l’originalità dell’impasto poetico di Gadler: a mio avviso i vari elementi si fondono, senza calchi o marcata imitazione. Solo per inciso vorrei ricordare che proprio in quegli anni sono uscite opere importanti di Sinisgalli, Bertolucci, Caproni, Luzi, Zanzotto. Scenari, anche solitudini. Mi pare di cogliere in Gadler la stretta connessione tra parola e sensazione, la parola è puntuale, ha un suo colore, un suo suono, si pone tra percezione e coscienza, in una ricerca della purezza della lingua. Ritrovo nel suo linguaggio la capacità rara di osservare, ascoltare, con discrezione. Quasi uno stare al bordo. Una capacità di vedere, sentire, esprimere il reale; di portarlo alla luce. “Luce della poesia”: rubo questa immagine suggestiva a Gianni d’Elia, in un suo contributo su Pasolini, in cui parlava di “esperienza della percezione”, tra presenza e memoria. Ancora Malloggi parla di un’aggettivazione che prolunga la durata del metro, una sonorità dei versi di Gadler. Come nel mito la materia si fa stato d’animo. “Soprattutto questo conta per un vero poeta: che egli tragga dall’apparente affanno di tutte le cose; l’ordine primo, la misura del mondo, che è poi la misura di se stesso, la propria coscienza e lucidità”. Umberto Eco quarant’anni dopo può ribadire che la funzione dei miti è quella di “dare forma al disordine dell’esperienza”. Mi pare giusto fare questi richiami, citazioni-ritagli dal fluire della perenne riflessione sulla parola. La poesia e le cose, la poesia e il tempo, la poesia e noi.

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Nel 1954 esce la raccolta di racconti Ogni anno fiorisce la mia valle. Essa segna il passaggio alla prosa come attività prevalente. Siamo di fronte a una scrittura tersa, limpida, che sembra quasi non entrarci con un mondo convulso, lacerato. Sembra non volerci entrare. C’è un problema di decifrazione, tra distanza e leggerezza. C’è il problema della coesistenza di poesia e prosa nello stesso autore. Una coesistenza che a mio avviso è risolta in modo originale. L’ascolto potrà, mi auguro, confermare queste mie asserzioni. Vorrei proporre alcune citazioni da questi racconti, sia per delineare la poetica di Diego, sia per assaporare la qualità di una lingua, di una prosa di alta qualità, preziosa ed essenziale. Una prosa in cui il nesso parola-vita, parola-ricerca è costante.   “Per la mia comprensione, per la mia pietà dell’uomo. Per questo mio spietato e acuto vedere, per questo mio esperto e sofferto intendere.” (pag. l2)   “...sentire tutta la mia vita...” (pag. l8)   “...in tutte le cose v’è un respiro e una voce, v’è come un racconto fatto all’uomo per la sua felicità... v’è come un’intesa per cui non vivono staccate ma, col prisma della memoria, si fondono benefiche nel nostro spirito ed insieme animano la vita: ci danno pensiero, ci danno saggezza.” (pp. 19-2O) “La parola disperde tutto,è uno strumento infedele.” (pag. 25) “Abbiamo cessato di immaginare: ecco la crisi dell’arte e della poesia che travaglia il nostro tempo...” (pag. 29)

Altrove l’umanità di Gadler acquista spessore e nitidezza inconsueti, coinvolgenti:

“Non sentirti solo con la tua fatica, UOMO, vedi attraverso i tuoi occhi, medita con la tua mente, ascolta attraverso il tuo cuore, immagina con la tua fantasia, costruisci con la tua mano.   In una parola, accogli la vita! (pag. 30)

Abbiamo parlato del peso della guerra anche nella produzione artistica di Gadler, la guerra. “schianto disumano, assurda e crudele”.

“L’uomo si caccia sotto un platano, si isola nei suoi pensieri. Non prova nulla. Si sente secco. Deserto.” (pp. 54-55)

Altrove si esprime la percezione della stanchezza esistenziale, che pervade e pesa anche nel lavoro dello scrivere. L’autore Si sente “burattino dell’ispirazione” (pag. 58). C’è verosimilmente un richiamo al “saltimbanco dell’anima mia” di Palazzeschi, ma in un contesto profondamente diverso.

“....quando il fluire di un’idea cessava, simile a un’ombra infinita si proiettava in noi il nulla. Si poteva percepire il nulla: si poteva non pensare, affrancarsi infine dal terrestre legame delle memorie...” (pag. 150)   Lo stile è modernissimo, sono racconti brevi, concentrati anche in mezza pagina. Una lingua scesa tra parola poetica e prosa, senza artificiosità. C’è come un senso di attesa tra stupore e sogno. Una scrittura a mio avviso “classica”, per equilibrio e profondità. “Modernissimo”, “classico”. Solo un ossimoro? “Suite di paesaggi umani” definisce questa prosa Diego Valeri. Di “paesaggi interiori” parla Fausto Montanari, Raffaello Prati evidenzia una “giusta dosatura tra immagine e suono”, dopo essersi soffermato sull’atmosfera di incantamento, sulle note di colore, sul ritmo e trova connessioni tra questa scrittura e il lavoro di pittori trentini come Pancheri e Garbari. Il ruolo e le possibilità del paesaggio quindi. Gabriella Belli presentando una mostra di Gino Pancheri nel l989, ha ricordato come egli fosse tornato alla libertà impressionistica del “plain air”, avesse elevato un suo canto alla natura, ricco di poesia e di conquiste formali. Non mi pare una forzatura connotare in tal modo “i racconti-paesaggi” di Diego Gadler. “Prosa d’arte” l’ha definita Luigi Fiorentino. Una scrittura sapienziale, mi sento di aggiungere.

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Ho richiamato più volte; da angolazioni e contributi diversi, l’aspirazione di Gadler allo svelamento della bellezza. Mi pare che le conquiste del pensiero, dell’arte classica, il rapporto tra be11o e buono, siano oggi al centro di un ritorno alla classicità. Ci sono successi editoriali recenti che stanno a confermarlo: 25.000 copie le opere complete di Platone e 18.000 quelle di Plotino, edite da Rusconi. Su un versante editoriale diverso, il milione di copie della Lettera sulla Felicità di Epicuro, di Stampa Alternativa. Sono entrato nella casa di Diego. Le pareti sono rivestite di quadri, molti sono opera della signora Rosetta. C’è storia. C’è la bellezza. Come quella miniaturizzata di uno scrittoio pieno di oggetti belli. C’è armonia nel tutto. Il tempo si è come fermato. Sono certo che questi particolari c’entrano con la critica. Una critica che non pretenda, pur misurandosi con il valore di una produzione letteraria e artistica in generale, di dare voti o pagelle, ma che cerchi di comprendere la struttura, la storia di un testo.

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E’ del 1959 l’ultima opera a stampa Leggende e fiabe. La struttura è spesso quella del dialogo. La forma del mito ripropone la tensione tra realtà e sogno, anche attraverso le zone d’ombra dell’assurdo. Ritorna il paesaggio trentino, la montagna. Un Trentino còlto nelle radici della vita, nelle stesse radici della cultura. Archetipi. Ricordo che tutti i libri di Gadler sono da moltissimi anni esauriti. Essi meriterebbero, a mio avviso, ben altra attenzione da parte dell’Ente pubblico, spesso prodigo nello spreco e nel clientelismo. Anche una ristampa anastatica potrebbe essere un evento significativo per la cultura trentina e, con alcuni accorgimenti, per la scuola trentina.

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“I sentieri della memoria” sono una raccolta di racconti, verosimilmente scritti tra il 1970 e l980, mai pubblicati. Persiste il dialogo. L’autore diventa quasi un archeologo capace di evocare il passato. La vita, le esistenze si snodano tra apparenza e realtà. Il raccontare, il chiedersi, il capire sono ora spesso colorati dal filtro dell’ironia. Sperando nella benevolenza dell’amico Diego assente, vorrei tornare per un attimo nella veste del critico. Siamo di fronte a una prosa pulita, vellutata, compatta nella sua levigata colloquialità.   Il metodo è quello di “articolare la (mia) curiosità mediante un’agile ginnastica di prudenza onde captare, con svagata fatica, i piccoli fatti e le creature e le cose nella loro singola essenza…” “...il vero non ci appartiene, il vero ci trascende, fino nelle più piccole cose che noi crediamo nostre. Anche per questo lo spettacolo del vivere è valido sempre, a chi lo accetti e vi partecipi con animo sereno e pronto...” Colgo nei racconti la non pretesa (“superbia”) di una visione unitaria della vita, il rifiuto degli assolutismi e dello smarrimento distruttivo. Gadler parla di una scelta, che è anche impotenza, di non chiarire l’imponderabile, l’insolubile. Non per ossessione, non per comodità. Parla di un relativismo degli atti umani e di un’impossibilità di penetrare la causa prima. C’è un ragionare lieve e compatto insieme, ci sono profondità, apertura, senso della vita. Vi gioca il mestiere di giornalista, il contatto con la gente, la necessità di sentire e percepire i fatti e ciò che si cela nelle coscienze. Una ricerca al bordo, che si sforza, senza impennamenti e cadute drammatiche, ma non senza un prezzo di sofferenza e frustrazione di andare oltre la cornice dell’apparenza. Misurato, controllato come sempre, Diego non ha potuto occultare la sua amarezza per le difficoltà anche economiche di pubblicare, non incline com’era a muoversi con aggressività e rapacità sul mercato spesso clientelare delle lettere. Credo vada apprezzato in questo senso l’impegno di Kaos (ndr associazione di poeti di Trento non più esistente da anni) di andare alla pubblicazione di un’antologia delle opere di Gadler. L’importante è che ci si muova e si creda nel senso e nel valore di ciò che si fa. Ci potranno essere difficoltà intrinseche alla personalità di Diego. Lavorando sulle sue carte non sono mai riuscito a trovare una data. Vezzo di poeta? Scelta scaramantica? Distanza dalla contingenza? Il senso dell’eterno e del nulla? Un cogliere la verità, le verità nel loro baluginare, in un tempo indeterminato? C’entra l’atemporalità? Oggi non ho una risposta. C’è un fascino anche in questo vuoto, in questa indeterminatezza. Diciamo con chiarezza che c’è ancora molto lavoro da fare su Diego Gadler e che la fatica sarà premiata da nuove scoperte.

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Sono giunto alla fine del sentiero affascinante, ma non facile, che mi ha portato dentro l’opera di Diego Gad1er. Ed ora ai testi. Lasciamoci avvolgere dalle Voci vere, così diverse di Mariella, Emanuele, Alfonso. Cogliamone il timbro,la suggestione, il gioco delle generazioni, il comune amore della bellezza, dei valori, la stima della vita. Lasciamoci andare al ritmo delle parole di Diego, che attraversano mezzo secolo, così terribile, così grandioso, così presente nell’oggi. Cerchiamo di scoprire la cifra nascosta di questi testi, torniamo in noi stessi, a riscoprire fonti perenni della visione, del piacere, del sapere. Proviamo, nella malia della parola di Diego, nella forza contenuta dei suoi colori, a trovare un angolo di pace, di silenzio. E’ questo il dono, duraturo, la piccola pietra che brilla che Diego ci ha lasciato.  UNA PICCOLA PIETRA CHE HA IMPRIGIONATO NELLA SUA LUCE IL COLORE DEL FIORDALISO.   Proviamo a far rivivere nel nostro ascolto quello che Antonio Faeti ha chiamato “il culto delle parole lievemente toccate”.  (Testo dattiloscritto inedito di Paolo Toniolatti, tradotto in word da Angelo Siciliano, nell' aprile 2008, per la rivista trentina Judicaria).         Biblioteca Comunale di Trento - Schedario relativo a Diego Gadler  Da Silvano Groff - Trento, 21.5.2010

 Giornalista, poeta e scrittore. Giovanissimo si dedicò al giornalismo, e collaborò in particolare a “L’Avvenire d’Italia” e “Il Gazzettino” di Venezia. All’intensa attività giornalistica si affiancò l’impegno letterario, che portò alla pubblicazione di due raccolte di poesie - Paese di giovinezza (Trento, 1939) e Arpa (Reggio Calabria, 1956) - e di due in prosa - Ogni anno fiorisce la valle (Trento, 1954) e Leggende e fiabe (Bolzano, 1959).

  1. Esposito, Nedda Falzogher e il suo cenacolo letterario: A. Goio, R. Gadotti, M. Pola, D. Gadler, A Borgogno, in Poesia non-poesia anti-poesia del ‘900 italiano, Foggia, Bastogi, 1992, p. 143

Collocazione: BCT40

Estremi cronologici della documentazione conservata: 1911-ca. 1990

Data di acquisizione e provenienza: 2007. Dono Alessandro Gadler

Consistenza del fondo: 8 faldoni

Descrizione del fondo:

Carteggi, documenti personali, diari:

1943-1984. Minute di lettere di Diego Gadler; (segn. BCT40-1/1)

1942-1989. Lettere inviate a Diego Gadler:

 Mittenti A-L; (segn. BCT40-1/2)

 Mittenti M-Z; (segn. BCT40-1/3)

  1. Lettere e altro materiale relativi ai rapporti di Diego Gadler con Vittoriano Esposito. Ms., dattil., fotocopie; (segn. BCT40-1/4)
  2. Lettere e altro materiale relativi ai rapporti di Diego Gadler con Marino Feltrinelli. Ms., dattil. e fotocopie; (segn. BCT40-1/5)

1951-1960. Carteggio di Diego Gadler con la Regione Trentino-Alto Adige. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-1/6)

1961.2.18, Bolzano? Lettera di Jolanda … a Rosetta Gadler, moglie di Diego. Ms.; (segn. BCT40-1/7)

1945-1975. Lettere, dichiarazioni, ricevute relativi ai rapporti di Diego Gadler con giornali, riviste, comitati, sindacati e istituti professionali. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-1/8)

1954-1979. Lettere e altro materiale relativi ai rapporti di Diego Gadler con l’Associazione culturale italo-ispanica “Cristoforo Colombo”. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-1/9)

  1. Diario di Diego Gadler. Ms. Inserita una cartolina-ricordo di Rosetta e Diego Gadler dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, 9.8.1962; (segn. BCT40-1/10)
  2. Diario di Diego Gadler. Ms. Inserita una cartolina di … a Rosetta e Diego Gadler da Ailefroide, 30.5.1958; (segn. BCT40-1/11)

1938-1975. Note oniriche di Diego Gadler. Ms.; (segn. BCT40-1/12)

Scritti:

Datati:

1974 ca. Articoli su L’Adige”. Quaderno con elenco degli articoli di Diego Gadler pubbl. sul quotidiano trentino “L’Adige” dal 1964 al 1974. Ms.; (segn. BCT40-2/1)

1929-1970. Le occasioni della cronaca. Materiale (riviste, ritaglia stampa, appunti, malecopie, lettere) raccolto da Diego Gadler e suoi appunti per la redazione di profili biografici di trentini illustri. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-2/2, 3)

1932-1955. Eliot, Zweig, Pirandello e Zavattini. Appunti e articoli. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-2/4)

1934-1989 ca. Poesie, articoli e racconti vari. Malecopie e stesure definitive. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-2/5)

1939-1943. Paese di giovinezza: 3 stesure della raccolta in versi, esemplari della pubblicazione, recensioni. Inoltre Attimi: 2 stesure della raccolta in versi, parzialmente pubbl. in Id., Paese di giovinezza. Liriche, Trento, Tip. Benigni, 1939. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-2/6)

1941-1948. Materiale relativo alla polemica contro il Teatro del GUF. Articoli di giornale di vari (1941-1948), appunti e stesure dell’articolo di Diego Gadler mai pubblicato; (segn. BCT40-2/7)

1944-1948. Trento. Stesure di e materiale correlato. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-2/8)

1951-1954 ca. Ghor, soggetto cinematografico. Appunti, malecopie e stesura definitiva, guide turistiche per la scenografia e carteggi. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-2/9)

1952-1954. Arpa. Appunti, versioni, carteggio e recensioni e segnalazioni bibliografiche relativi alla raccolta in versi (1952-1954). Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-3/1)

1952-1962. Leggende e fiabe. Materiale bibliografico, appunti, malecopie, stesura parziale, carteggi in originale e in copia, esemplari della copertina pubblicata e di alcune illustrazioni, recensioni. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-3/2)

1954-1958. Ogni anno fiorisce la valle. Appunti, recensioni, lettere e cartoline di vari con molte buste di spedizione e ricevute relative all’opera pubblicata nel 1954. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-3/3)

1965-1969. [Lo sperimentalismo nell’arte]. Appunti, malecopie e minute, ritagli stampa. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-3/4)

1981-1990. Nedda Falzolgher. Volumi pubblicati, lettere, testo preparatorio e stesura finale del suo intervento al convegno di studio Nedda Falzolgher: poesia e spiritualità (1983), copie di altre relazioni, 1 fotografia. Ms., dattil. e a stampa; (segn. BCT40-3/5)

Non datati (la collocazione rispetta l’ordine alfabetico del titolo):

Evasioni pirandelliane. Stesura dell’articolo. Dattil.; (segn. BCT40-4/1 (ex NM 1079)

La giacca di Uberto; Nozze al villaggio. Soggetti cinematografici. Appunti, e stesura delle Nozze. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/2)

Lettere non spedite. Stesura di varie lettere fittizie. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/3)

La città sepolta/sommersa. Stesure. Ms. e dattil. Il lavoro definitivo è stato pubbl. in D. Gadler, Leggende e fiabe, Bolzano, Borgogno, 1958, pp. 57-66; (segn. BCT40-4/4)

Il nano e il mago. Stesura, dattil. e fotocopie della versione a stampa in D. Gadler, Leggende e fiabe, Bolzano, Borgogno, 1958, pp. 69-73; (segn. BCT40-4/5)

Palcoscenico: racconti. Stesura. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/6)

Sentieri della memoria: racconti. Malecopie, appunti, stesure complete e parziali. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/7)

Sentieri della memoria; Storie minime. Stesure dei racconti. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/8)

Sinfonia nella tenebra. Stesure del racconto. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/9)

Stefan Zweig: profilo critico. Stesure dell’articolo. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/10)

Storie minime. Stesure. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/11)

La torre d’Augusto. Stesura parziale dell’articolo. Dattil.; (segn. BCT40-4/12)

Come il Trentino raggiunse cento anni fa la libertà di stampa/Le travagliate vicissitudini del Trentino per conquistare la libertà di stampa. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/13)

Una singolare voce lirica: Tullio Gadenz davanti al tormento dell’essere. Stesura dell’articolo. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/14)

Vetrina delle curiosità: Scienza e mito dell’idea metapsichica. Stesura dell’articolo. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/15)

Critica dei films Intermezzo (1939), Il Barone di Münchausen (1943), Il giudice Timberlane (1947) e Il Trono di sangue (1957). Stesure. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/16)

Scritto sulla Poesia. Appunti e malacopia. Ms.; (segn. BCT40-4/17)

Appunti vari. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/18, 19, 20, 21)

Abbozzo intervista RAI. 2 redazioni dell’intervista radiotelevisiva fatta da Aldo Gorfer a Diego Gadler. Con testo della poesia di Diego Gadler La ricerca. Ms. e dattil.; (segn. BCT40-4/22)

1934-1935. 2 elenchi di libri letti da Diego Gadler. Ms.; (segn. BCT40-4/23)

Scritti, recensioni e segnalazioni a stampa: ritagli stampa. Talvolta sono inseriti malecopie, appunti, lettere e attestati ms. e dattil.; (segn. BCT40-5, 6, 7)

Varia / biblioteca:

Vittore Bertagnolli (studente della V classe), quaderno con schemi e riassunti relativi alla Raccolta di prose di autori moderni scelte e annotate per le classi superiori delle scuole medie austriache a cura di A. Cetto, Trento, Monauni, 1911. Ms.; (segn. BCT40-8/1)

  1. 1961. I. Cinti, Il Futurismo. Stesura ms. dell’A., come da nota apposta in calce forse dal senatore Luigi Dalvit: “Relazione autografa di Italo Cinti consegnatami lunedì 9.1961 all’università popolare”; (segn. BCT40-8/2)

1922-1990. Voll. a stampa e riviste contenenti opere di Diego Gadler; (segn. BCT40-8/3, 4).

(Testo pubblicato nel n. 74, agosto 2010, della rivista trentina Judicaria, fruibile anche nel sito www.angelosiciliano.com).

       Zell, 30 luglio 2010                                          Angelo Siciliano