Grazie a Livio Pranzelores, nel 2003 è stato ristampato dalla Cromopress di Trento il libro di padre Flavio Trettel Nella perla delle Ande, di 222 pagine, con prefazione di Paolo Magagnotti e molte illustrazioni fotografiche, la cui prima edizione risale al 1970.Pranzelores è un amico devoto dei missionari trentini, in particolare dei francescani che hanno operato e operano in Sud America, e lui, per ragioni affettive, è innamorato di questa terra. Altri due libri sono già stati pubblicati grazie alla sua appassionata operosità: Tatahuasi, la casa del padre di padre Berardo Osti, nel 1999, e La croce nel regno del condor, nel 2001, relativo all’opera dei missionari trentini tra i discendenti degli Incas. Padre Flavio Trettel nasce a Predazzo nel 1927, è ordinato francescano a Trento nel 1951 e inizia subito a girare il mondo. I luoghi in cui si reca sono Bologna, il Canada, gli stati americani di Utah e Nevada. Muore tragicamente nel 1994, in un incidente stradale in California, ed è sepolto in uno spoglio cimitero di S. Francisco, dove si trovano le tombe di altri francescani. Ha vissuto intensamente da missionario nel deserto del Nevada, a cento chilometri da Las Vegas, realizzando anche programmi radiotelevisivi e ha lasciato tanti scritti e appunti di viaggio.

La fisarmonica, di cui è un provetto suonatore, gli serve per allietare i momenti conviviali con gli amici trentini.

Nella perla delle Ande si sviluppa come un lungo racconto a più scansioni, senza mai perdere il filo conduttore. Apparentemente assomiglia ad un diario, ma a questo di solito sono affidati semplici pensieri o impressioni, mentre il libro tratta di un viaggio in terra di missione con una narrazione articolata e un affabile eloquio dal sapore colloquiale e familiare.

“Nel settembre del 1968 ho avuto l’opportunità di visitare una missione in Bolivia…” così inizia l’Introduzione del suo libro padre Flavio Trettel e prosegue “Non sono andato in Bolivia per scopo di turismo o di studio…ci sono andato perché là c’era un gruppo di sacerdoti missionari, miei confratelli, che da circa vent’anni lavorano per rianimare lo spirito cristiano nella zona loro affidata.

Nel mio viaggio ho visitato questi confratelli, ho condiviso le loro ansietà, i problemi, gli ideali, ho cercato di capire lo spirito che li anima, di studiare le possibilità d’aiuto, di vivere almeno un po’ di tempo in quell’atmosfera d’apostolato che noi chiamiamo ‘Missionaria’ e che si presenta con caratteri ben determinati. Ho esperimentato direttamente il problema pastorale diretto agli indigeni e mi sono sentito parte viva in questo lavoro.”

In questa citazione sono sintetizzate sia la volontà di conoscenza che l’esperienza fatta da padre Trettel in Bolivia, dove rimane all’incirca un mese. A pensar bene un periodo non lungo, che tuttavia gli consente di conoscere e scambiare impressioni con tutti i confratelli missionari, di visitarne le residenze, vedere la gente locale e capirne l’esistenza grama con i relativi problemi di sopravvivenza. Scopre una piccola porzione del mondo, la Bolivia, con meno di quattro milioni d’abitanti, il cui territorio comprende la zona montana delle Ande e la grande pianura della giungla. Più della metà della popolazione, costituita da indigeni, gli indios, vive sulle montagne e sugli altipiani in buona parte come campesinos, mentre il resto di essa, costituito dai “bianchi”, i discendenti degli europei, vive nelle città e nei paesi sparsi nelle vallate.

La Bolivia è una terra vasta, differente dalle altre nazioni, ricchissima, scrive padre Trettel, con un futuro potenzialmente splendido, ma la povertà e la primitività, unitamente alla debolezza economica, politica e sociale, ne impediscono lo sviluppo. Il boliviano, annota sempre padre Trettel, è pigro d’indole e distante dalla società evoluta, è cattolico di nascita e di battesimo, ma la religione in cui crede è ancora primitiva e il problema dei missionari non è quello di diffondere il credo tra i pagani, ma di costruire la chiesa con pietre di nome cristiano tra quella gente.

È terra di meraviglie ma anche di tragedie. Basti ricordare l’uccisione d’Ernesto Che Guevara e i suoi guerriglieri nel 1967, da parte delle truppe regolari boliviane, un anno prima che padre Trettel visitasse la Bolivia.

“Uno che ha tentato e non c’è riuscito… Ma a fare cosa?” si chiede incredulo padre Trettel.

Descrive molto bene ciò che fanno i confratelli francescani missionari nella diocesi di Aiquile, comprendente tre province, che è stata loro affidata.

Tra gli altri parla di mons. Ferruccio Ceol e padre Pacifico Tomasi, vescovo ausiliario, che operano tra i cinesi di Lima, di padre Giovanni Gianordoli morto a seguito di incidente di moto, forse anche a causa del tardivo ricovero nell’ospedale di Cochabamba, di padre Silvestro Sartori, del francescano mons. Giacinto Eccher, primo vescovo trentino in Bolivia, di padre Berardo Osti, abile cacciatore e per anni responsabile della parrocchia di Pojo, di padre Attilio Cozzio morto di febbre gialla.

Padre Trettel si pone interrogativi sul senso della missione in questa terra, sulle difficoltà che paiono insormontabili, che i confratelli devono affrontare quotidianamente per fornire assistenza e istruzione. Se ne ricava che la loro opera ancora oggi è essenziale per la gente della Bolivia, che materialmente possiede poco o niente e i missionari sono un punto di riferimento importante, e una speranza di miglioramento delle loro condizioni di vita.

 

 

            Zell, 2 aprile 2004                       Angelo Siciliano