L’Egitto mai visto

In mostra oltre 800 reperti egizi al Castello del Buonconsiglio di Trento

Al Castello del Buonconsiglio di Trento, il pomeriggio del 29 maggio 2009, si è inaugurata, alla presenza di oltre 600 visitatori, una mostra straordinaria Egitto mai visto con oltre 800 reperti egizi: 500 appartenenti alla sezione egizia del Castello del Buonconsiglio e il resto prestato dal Museo Egizio di Torino.

L’esposizione rimarrà aperta sino al 8 novembre 2009. Nei giorni precedenti era stato fatto un accordo di collaborazione col Museo Archeologico dell’Alto Adige, dove è aperta un’importante mostra Mummie, per una reciproca promozione.

   

I reperti esposti al Buonconsiglio sono inediti, perché mai pubblicati, appartenenti a due collezioni assai diverse tra loro. Quelli di Trento furono acquisiti in un’epoca in cui era di moda in Europa la mania di collezionare reperti archeologici egizi da parte di esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, anche con vere e proprie avventure predatorie nei siti archeologici, per stupire i frequentatori di salotti, o per esibirli in pratiche esoteriche. Fanno parte della collezione che Taddeo Tonelli, ufficiale trentino dell’Impero Austro-ungarico, mise insieme nella prima metà dell’Ottocento e che nel 1858 donò al Municipio di Trento. Tutto il materiale è stato conservato finora nei depositi del Museo del Buonconsiglio. I reperti arrivati da Torino, invece, sono stati selezionati tra quelli custoditi nei depositi del Museo Egizio e furono acquisiti grazie agli scavi autorizzati che il grande archeologo ed egittologo torinese Ernesto Schiaparelli (Occhietto Inferiore, Biella, 1856 – Torino, 1928) fece, tra il 1908 e il 1920, a Gebelein e principalmente ad Assiut, città in cui, secondo la tradizione copta, trovò rifugio la Sacra Famiglia nella fuga in Egitto. Schiaparelli ebbe gran fama per avere scoperto la tomba di Kha, l’architetto del faraone Amenofi III (1390-1352 a. C.), che nel 1353 a. C. istituì la venerazione del dio Amon con l’emarginazione delle altre divinità egizie.  

   

  Il Museo Egizio di Torino, che personalmente ebbi modo di visitare la prima volta nel 1971 e fece scattare in me la passione per gli Egizi e per l’archeologia, negli anni è molto cambiato come struttura e percorsi espositivi. Per gli straordinari reperti che possiede, è considerato per importanza subito dopo di quello del Cairo e l’attuale capo degli archeologi egiziani, Zahi Hawass, che si dice sicuro d’essere prossimo alla scoperta della tomba di Cleopatra e del suo amante, forse non vede ciò di buon occhio se si tiene conto di quanto va dichiarando talvolta alla stampa internazionale. Ma Torino, già nel 1824, era nota per la sua raccolta di antichità egizie acquistate dai Savoia dal diplomatico francese di origini italiane Dovretti. Ne rimarcava l’importanza Jean-François Champollion, che nel 1822 aveva decifrato i geroglifici della stele di Rosetta, ritrovata in Egitto nel 1799, durante la spedizione di Napoleone, e rivendicata dagli Inglesi dopo la sconfitta dei francesi. Questo blocco di basalto, custodito dal British Museum di Londra, riporta un decreto in onore di Tolomeo V del 197/6 a. C., il cui testo è in egiziano, con due livelli di scrittura distinti in caratteri geroglifici e demotici, e in greco. Dopo di allora, i geroglifici non hanno celato più tanti segreti. La mostra è stata curata dalle egittologhe Elvira D’Amicone e Sabina Malgora col coordinamento del direttore Franco Marzatico. L’allestimento è dall’architetto Michelangelo Lupo e gli ambienti sono stati creati, con straordinaria verosimiglianza a quelli originali, dallo scenografo Gigi Giovanazzi. Le ricostruzioni delle tombe di Assiut danno un risalto incredibile ai pezzi esposti, che fanno rivivere il fascino dell’antico Egitto.  

   

  Nei tredici ambienti espositivi, trovano posto in successione i reperti trentini e poi quelli di Torino. Della collezione trentina sono esposti centinaia di amuleti, gioielli in paste vitree colorate, due stele iscritte, una maschera funeraria a cartonnage dipinto e dorato (Epoca Tarda 664-332 a. C.), modellini di servitori provenienti da tombe, una mummia di gatto e amuleti a forma di gatto (Epoca Tarda 664-343 a. C.) e frammenti di mummie umane: mani, piedi, pene e pacchetti con interiora (Epoca Tarda 664-332 a. C.). Questi reperti umani fanno pensare al traffico di polvere di mummia, molto praticato nell’Ottocento per le millantate proprietà terapeutiche e afrodisiache. Tra gli amuleti spiccano gli scarabei del cuore, ritenuti simboli di vita eterna. La mummia di gatto, in un’elegante bendatura zoomorfa decorata a losanghe, è intera e in ottimo stato di conservazione, seppure con le spalle lussate per una questione di postura forzata. Lo hanno rivelato i risultati della tomografia assiale computerizzata, T.A.C., cui è stata sottoposta presso l’Ospedale S. Chiara di Trento. Trattasi di gatto adulto senza segni di traumi che n’abbiano provocato la morte. Anche se non si può escludere che possa essere stato affogato per essere offerto alla divinità, potrebbe trattarsi d’animale domestico morto di vecchiaia e mummificato, perché considerato un componente della famiglia. Il gatto era fondamentale nella vita quotidiana degli Egizi, sia per scacciare i serpenti velenosi che per la caccia ai roditori. Se maschio, era associato al dio solare Ra, se femmina era sacro alla divinità femminile Bastet, che rappresentava il calore benefico del sole ed era la protettrice della casa e della famiglia. I reperti di Torino sono straordinari e raccontano la vita quotidiana della classe media, di amministratori di provincia e piccoli proprietari terrieri dell’Antico Egitto di 4000 anni fa scoperto da Schiaparelli, e i segreti dell’Aldilà. Oltre a diverse foto dello Schiaparelli, sono in mostra anche due suoi affascinanti apparecchi fotografici adoperati nella spedizione. Sono esposti diversi tipi di sarcofagi, alcuni dei quali stuccati e decorati con dentro la mummia, corredi funerari costituiti da poggiatesta, specchi, sandali, bastoni, archi e frecce, vasellame, mazzuoli, cassette di legno, statuette, modellini d’animali, barche con equipaggi, tre splendide tuniche pieghettate in lino e strumenti di lavoro agricolo e artigianale. Il Medio Regno (1991-1640 a. C.) è degnamente rappresentato anche dalla qualità dei cofanetti, oggetti per toeletta e modelli di piccola statuaria. Sono in mostra due papiri col “Libro dei Morti” provenienti da Tebe, una decina di stele iscritte e decorate e una quarantina di pareti di sarcofagi, con geroglifici incisi e dipinti, che svelano le credenze religiose e le divinità egizie, tra cui Osiride, il cui culto consentiva l’accesso alla vita eterna.  

   

  Questa mostra, che nasce dalla collaborazione tra il Museo del Buonconsiglio e la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, è importante anche dal punto di vista scientifico, perché ha consentito per la prima volta uno studio completo e approfondito sia dei reperti di Torino sia di quelli di Trento e si è colta l’occasione per sottoporre a restauro gli oggetti che ne avevano necessità. Al grande pubblico è proposta per la prima volta una ricostruzione filologica delle usanze funerarie egizie, finora poco note, e, oltre alla suggestione di passare tra tanti sarcofagi, i visitatori hanno la possibilità di farsi qualche idea dell’immaginario religioso di quest’antico popolo del Mediterraneo e in qualche misura della loro gestione del lutto.   Scheda del catalogo Il catalogo, di 367 pagine, illustrato da immagini a colori e in bianco e nero (alcune foto originali di Schiaparelli), contiene i testi di Franco Panizza, Assessore provinciale alla Cultura, Rapporti europei e Cooperazione, Franco Marzatico, Direttore del Castello del Buonconsiglio, Giovanna Maria Bacci, Soprintendente per i Beni Archeologici del Piemonte e Museo Antichità Egizie, e Marina Sapelli Ragni, Soprintendente per i Beni Archeologici del Lazio, Elvira D’Amicone, Massimiliana Pozzi Battaglia, Laura Donatelli, Giovanna Gotti, Emma Rabino Massa e Rosa Boano, Federica Scatena, Gian Luigi Nicola, Paola Iacomussi e Giuseppe Rossi, Angelo Agostino. Curato da Elvira D’Amicone e Massimiliana Pozzi Battaglia, è stampato in maggio 2009 da Tipografia Editrice Temi s.a.s. – Trento, per conto del Castello del Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali di Trento in coedizione con la Soprintendenza Archeologica di Torino.

(Questo testo, scritto per il Corriere-quotidiano dell’Irpinia, è fruibile nel sito www.angelosiciliano.com).                

Zell, 6 giugno 2009                                                                                                                                             

Angelo Siciliano