Nella famiglia gentilizia dei Pirrotti, il 29 settembre 1710, nasce Domenico Michele Giovan Battista, che, educato alla fede e alla virtù, nei progetti della famiglia, di cui già altri figli maschi, Pompilio, Francesco, Bartolomeo e Raffaele, si sono orientati verso la vita religiosa,è destinato, secondo la volontà del padre Girolamo a tramandare con onore il casato.


Ma la vocazione, che lui avverte forte già da bambino, lo porta a compiere atti di penitenza e devozione che paiono straordinari.


Spesso, anziché dormire a letto riposa sulla nuda terra o sul gradino dell’altare nella cappella di famiglia, sotto lo sguardo amorevole della Madonna.


Qualche sera, si fa rinchiudere nella chiesa del Santissimo Corpo di Cristo e, pregando Gesù in Sacramento, si addormenta e riposa tranquillamente ai piedi dell’altare.
Ai bambini suoi coetanei insegna il catechismo.


Ai poveri distribuisce la sua merenda e talvolta i propri abiti.


A sua madre, Orsola Bozzuti, un giorno affida un’immagine della Vergine, che ha trovato abbandonata in un deposito di vecchie cose di famiglia, e le raccomanda di conservarla, perché un giorno sarà collocata sull’altare dal quale celebrerà messa.
Una profezia che si avvererà anni dopo.

Nel 1726 conosce un giovane religioso, P. Nicolò Maria Severino di S. Pietro degli Scolopi di Benevento, giunto a Montecalvo per predicare durante la Quaresima. Resta affascinato dalle sue parole. Gli si presenta e ottiene informazioni sull’Ordine, sul suo Fondatore e sulla missione. Apprende che è un Ordine povero, spesso discusso e già una volta soppresso. Decide di aderire ad esso, ma la famiglia e soprattutto il padre, professore in Legge, osteggiano tale scelta. E così una notte, Domenico, che ha 16 anni, lascia loro un biglietto e fugge a Benevento, percorrendo a piedi circa 40 km, dove è ospitato dal fratello Raffaele nel convento di S. Domenico. I genitori lo raggiungono di lì a qualche giorno e si rassegnano alla sua decisione. Entra nell’Ordine delle Scuole Pie, diviene scolopio, sulle orme del fondatore S. Giuseppe Calasanzio, col nome di Padre Pompilio Maria di S. Nicolò. Il nome Pompilio è quello di suo fratello, deceduto nel 1719 a 18 anni, quando era chierico nel Seminario di Benevento.

Padre Pompilio Maria di S. Nicolò è educatore dei giovani per l’umano sapere, teologo, taumaturgo, mistico devoto del Sacro Cuore, dell’Eucaristia e della Madonna. E a un’immagine della Madonna, collocata nella casa paterna, lui si rivolge salutandola con devozione: “Ave Maria”. E lei gli risponde: “Ave Pompilio”.

La sua attività instancabile di evangelizzatore, educatore, predicatore e confessore lo porta a operare in molti luoghi e città d’Italia. Considerato dai superiori delle Scuole Pie di Roma uno dei migliori insegnanti dell’Istituto Scolopico in Italia, è nominato prima Prefetto delle Scuole a Napoli e successivamente docente di belle lettere a Turi, Francavilla, Ortona, Anzano, Chieti e Lanciano. I suoi scritti hanno un carattere essenzialmente ascetico e mistico. A Napoli, oltre che insegnante e maestro dei novizi, è Direttore dei Chierici dell’Ordine e successivamente, per volontà di re Carlo III Borbone, diviene Rettore del Collegio di Manfredonia (Fg) e poi Rettore a Campi Salentina (Le) e Assistente Provinciale.

È considerato grande evangelizzatore, “L’Apostolo degli Abruzzi”, “Miracoloso Santo di Napoli” e dialogatore con i morti. A Montecalvo, oltre che pregare con le Anime dei defunti nella chiesa del Purgatorio, s’intrattiene a dialogo coi suoi genitori sepolti nella chiesa del Santissimo Corpo di Cristo. Tuttavia, è accusato di essere troppo indulgente come confessore verso i peccatori. Fatto oggetto di persecuzioni, è sospeso dalle confessioni e re Carlo III, temendo qualche pericolo per il suo governo, lo bandisce da Napoli e dal Regno. È prelevato dalle guardie e mandato in esilio ad Ancona, da dove si sposta a Lugo dell’Emilia e poi a Ravenna, a Chioggia (Ve) e a Firenze. Così il suo apostolato, oltre che in queste città, si estende anche a Savignano, a Correggio e a S. Arcangelo di Romagna. Ma Napoli non può fare a meno del suo “Padre Santo”. Nel 1763, revocato da parte delle autorità il decreto dell’esilio, dopo sei anni egli rientra finalmente a Napoli tra l’entusiasmo popolare, ospite nella Casa Scolopica di Caravaggio. E proprio il tanto fervore della gente, considerato pericoloso da parte dei superiori, gli arrecherà altri dispiaceri. Anche stavolta egli perdona le cattiverie e non oppone alcuna difesa. È di nuovo allontanato e inviato in Puglia, come Rettore del Collegio di Manfredonia. Ma anche qui la sua permanenza non dura e alla fine dell’anno è spedito ad Ancona. Nonostante tutte le sue peregrinazioni, rimane molto legato a Montecalvo.

 

 

Da sempre la sua alimentazione è rigorosa e frugale: alcuni chicchi di fave e un po’ di pane. Questo anche quando gli capita di essere ospite a pranzo, come quella volta che si trova seduto alla mensa dei Padri Agostiniani a Montecalvo e gli viene servito un piatto con due piccioni cotti. Non può accettare quel pasto. Leva gli occhi al cielo, accarezza i due volatili con la forchetta, pusàta, e questi, tornati in vita, volano via tra lo stupore dei presenti. Nel piatto rimasto vuoto, si materializzano alcuni chicchi di fave: il suo alimento abituale. Tuttavia, nonostante questa dieta, insostenibile per una persona normale, egli non si risparmia ed è molto esigente con se stesso. Mentre si consuma il pasto in comunità, legge le orazioni per alleviare i colleghi religiosi. La notte riposa poche ore, nonostante trascorra molto tempo accanto al letto degli infermi, per dar loro conforto, a confessare i fedeli o a predicare dal pulpito.

Desideroso di umiliazioni e patimenti personali, ringrazia Dio “del bel tesoro del santo patire”. Ancora da giovane, mortifica la carne indossando cilici e catenelle, dormendo al caldo o al freddo, predicando scalzo per impressionare i peccatori.

Il 30 marzo 1765, da Ancona è inviato a Campi Salentina (Le), dove vi è stata una gravissima carestia. Acclamato “Padre Santo”, oltre che per confessarsi la gente accorre perché affamata. Lui le dà conforto e non la manda via delusa. La sfama con pochi pezzi di pane, moltiplicandoli come aveva fatto Gesù nel deserto.

Ormai non gli resta molto da vivere su questa terra. Spira in estasi, nella sua cella di Campi Salentina, il 15 luglio del 1766, invocando “Mamma Bella”. È osannato dai fedeli per la sua santità e tutti desiderano ottenere sue reliquie.

Nel 1834, cominciano le pratiche per elevarlo alla gloria degli altari e, il 26 gennaio 1890, Papa Leone XIII lo dichiara beato. Papa Pio XI lo canonizza il 14 marzo 1934 e, per la gioia dei fedeli, diviene S. Pompilio Maria Pirrotti.

A Montecalvo la sua festa ricorre il 20 agosto di ogni anno. A Campi Salentina, dove S. Pompilio si festeggia il 15 luglio, gli è dedicato un santuario, con annessi un museo e un liceo.

La famiglia Pirrotti, relativamente al ramo maschile, si estingue con la morte di Mons. Pompilio Pirrotti (il richiedente del Distico a Papa Leone XIII) fu Michele, deceduto il 10 marzo 1919, e il palazzo è diviso tra gli eredi di parte femminile: due terzi a Mariannina De Cillis e alle figlie Giulia e Angelina Susanna; un terzo alla famiglia Mazara, passato poi a Vittorio Veraldi e a suo figlio.

A seguito di due R. D., il n. 1370 del 29 agosto 1920 e il n. 2219 del 21 settembre 1938, a firma del Re d’Italia ed Imperatore d’Etiopia Vittorio Emanuele III, nasce un ente morale col nome “Ente Scolastico Rosa Cristini”, in attuazione di un testamento rogato davanti al notaio il 2 luglio 1880 e avente come oggetto un lascito della benefattrice Rosa Cristini, analfabeta. Lo scopo di questa donazione è di estendere l’istruzione elementare anche alle bambine, eliminando la discriminazione che subiscono da sempre rispetto ai maschi. Ma non si sa dove costruire l’edificio, affinché l’Ente possa attuare il testamento.

Nel 1934, dopo la canonizzazione di S. Pompilio, la signora Mariannina De Cillis e le figlie decidono di donare la parte del Palazzo Pirrotti di loro proprietà, che è crollata col terremoto del 1930. Rimosse le macerie, sul suolo ricavato sono edificati l’edificio per l’Ente “Rosa Cristini”, in cui funzioneranno per alcuni decenni l’asilo infantile e un laboratorio di ricamo per le ragazze del paese, gestiti dalle Suore Calasanziane dell’Ordine delle Scuole Pie, la chiesa di S. Pompilio, la sagrestia e il reliquiario. Queste tre ultime strutture sono donate successivamente alla parrocchia di S. Bartolomeo Apostolo.

Nel 1969 l’Ente “Rosa Cristini”, grazie a una donazione, acquista, dalla famiglia Veraldi, la parte rimanente del Palazzo Pirrotti, che è quella in cui è allestito il Museo della Religiosità Montecalvese e della Memoria Pompiliana e la cui facciata viene ripristinata a come era prima del 1930. Sulla stessa è collocata la scritta che ricorda la nascita di S. Pompilio.

Dal 25 dicembre 1999, con l’unificazione delle parrocchie montecalvesi di S. Bartolomeo Apostolo e di S. Nicola e la conseguente nascita della Parrocchia S. Pompilio Maria Pirrotti, tutte le attività si sono proiettate verso le grandi celebrazioni del 2010.

 

(Questo articolo è uscito sul Corriere – Quotidiano dell’Irpinia, domenica 11 ottobre 2009, ed è nel sito www.angelosiciliano.com. Notizie su S. Pompilio Maria Pirrotti, sul Museo della Religiosità Montecalvese e della Memoria Pompiliana e sull’Anno Giubilare possono essere acquisite nel sito www.sanpompilio.it).

 

Zell, 5 ottobre 2009                                                                                                               Angelo Siciliano