La verde Irpinia… E ci si domanda: “Ma è sempre verde?”. E la risposta potrebbe essere: “Sì, ma ormai non è più il verde speranza!”. E ciò, purtroppo, accade in questa provincia, proprio ora, in piena globalizzazione, col panorama nazionale e quello internazionale assai compromessi e angustiati finanziariamente ed economicamente.E le speculazioni di nuovo la fanno da padrone. Non eravamo usciti dalla grave crisi del 2008 e ora ce n’è un’altra. L’Irpinia ha da sempre paesaggi straordinari di colline con paesi arroccati, ruderi che ispirano tante storie e cunti del passato, tante montagne boscose. E poi fiumi e laghi: essa disseta da sempre la Puglia! Offre la sua salubrità ambientale, il silenzio ristoratore a chi è capace di staccare la spina dalle attività di routine, ambienti urbani postmoderni, frutto spesso della riedificazione disordinata nei post terremoti, tanti agritur, le sue cattedrali restaurate e nuovi musei. Insomma, le premesse vi sarebbero, unitamente alla disponibilità e alle attese degli abitanti locali.

 E poi, il coraggio e l’intraprendenza di intellettuali, artisti, scrittori e poeti, che, attraverso gli eventi culturali organizzati e i media, richiamano l’attenzione, sensibilizzano le persone, fanno prendere coscienza dei problemi. Ma le mostre, le esibizioni performatiche, i meeting, le recite poetiche, il dibattito sui blog, come in questo caso il “Blog Piccoli Paesi per la nuova ruralità”, riescono a incidere per davvero in questa realtà, certamente meno fortunata di altre? Il decollo è possibile? Si può tornare a creare ricchezza e assicurare così l’autosufficienza economica alla gente di questi luoghi, erede della civiltà agro-pastorale, attraverso un turismo ecosostenibile e il suo indotto, ora che anche le porte dell’emigrazione paiono chiuse ai giovani, perché c’è crisi anche altrove?

                             

La Fiat, guidata da Sergio Marchionne, ha acquisito la maggioranza del capitale di Chrysler Group, per cui è proiettata sempre più verso gli USA. Ma lì non è che stiano meglio. Anche lì le imprese, tranne quelle strategico-militari, si delocalizzano. E il presidente Obama l’ha scampata bella in questi giorni. Ha sudato più delle proverbiali sette camicie per fare approvare, anche dai repubblicani, la sua proposta finanziaria, per salvare il paese dal default. Ma subito dopo il debito americano ha subito il declassamento, da parte delle società di rating, e i mercati finanziari paiono impazziti e continuano a perdere. Non si riesce a star dietro ai record negativi delle borse, che, anche quando recuperano, i miliardi bruciati dalle speculazioni sono ormai persi. E la crisi dei paesi e la titubanza dei governi impoveriscono le famiglie, che subiscono l’erosione dei propri risparmi. Insomma, si viaggia a vista, con la BCE che dà rassicurazioni, ma non si capisce bene verso dove e come procedere. E l’Italia, col suo enorme debito pubblico, accumulato negli anni dei governi di centro-sinistra, che ha problemi di rifinanziamento, ha più di una palla al piede e, dopo la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna teme che arrivi il proprio turno. Quindi, tornando alla Fiat, dopo la chiusura della fabbrica di Termini Imerese in Sicilia, è toccato all’IVECO di Grottaminarda. Ma le altre imprese non è che stiano meglio, tra cassa integrazione in deroga ai dipendenti dei settori metalmeccanico, tessile e commerciale, e fallimenti. La cronaca del 2009 parlava di 184 aziende in crisi nella provincia di Avellino. E se nel Meridione la situazione è a dir poco grave, perché due giovani su tre non lavorano, i disoccupati in Irpinia sono 80.000, e novanta suoi comuni su 119 hanno meno di 5.000 abitanti. Col serio problema di reperire risorse per continuare a fornire i servizi essenziali ai propri residenti. Sicuramente necessitano progetti specifici, forti a livello politico e imprenditoriale. Altrimenti quelle premesse di cui sopra non bastano. Non riescono a far da volano per uno sviluppo in Irpinia, che ormai latita dai tempi dei “fasti e nefasti” della Cassa per il Mezzogiorno. E poi la viabilità è problematica. Fatta eccezione dell’autostrada, il fondo stradale è spesso dissestato, pieno di buche, pozzanghere quando piove, sbrecciature, schiene d’asino, fratture e avvallamenti. Esso attenta continuamente al battistrada dei pneumatici, alle sospensioni delle auto e all’incolumità delle persone a bordo delle vetture. Il tracciato delle strade, la loro larghezza, principalmente per quelle a lunga percorrenza, le confluenze e gli incroci, complice la natura e la conformazione del territorio, si presenta spesso improbabile o problematico e se ne deduce quanto sia stata messa a dura prova l’abilità dei progettisti. Un problema, quello delle strade e della viabilità, che riguarda i collegamenti tra i centri abitati dell’Irpinia intera. Il pomeriggio di venerdì, 29 luglio 2011, sono diretto a Cairano, dove, per “Cairano 7x” nell’ambito de “I giorni di San Leone” è prevista, nella Sala Carissanum, una tavola rotonda sul tema “Quale futuro per i piccoli paesi”. Dopo alcune peripezie arriviamo in vista dell’agognato paese, che si ammira dall’Ofantina. Pare un presepio addossato sulla nuca di una collina col capo reclinato.

Veniamo in auto in quattro da Montecalvo Irpino. Con me porto Ercole, geometra che si è dato da fare per la ricostruzione di case rurali da queste parti nell’ultimo post terremoto, suo figlio Angelo studente d’ingegneria alla Sapienza di Roma, e Gaetano, che, da Ariano, con la UISP e il suo Judo Sci Fitness Club, organizza trekking religiosi ed escursioni in montagna, anche da queste parti. All’inizio dell’erta per Cairano, incrociamo un pastore sul lato destro della strada. Qualche giorno dopo, grazie ad Angelo Verderosa, che ha avuto come informatore Antonio Luongo, fornaio locale e blogger, vengo a sapere che trattasi del signor Michele Cesta. Pascola, “cu na paròcchila ‘mmani cu la capu di surpènt” (con una clava in mano con testa di serpente), le sue pecore, assistito dal suo cane pastore. A Napoli, nonostante la monnezza, direbbero che è tornato “Pulcinella”, dati la sua magrezza, l’agilità delle movenze tra le placche erbose, e il ghigno. Ma qui siamo in Irpinia. Col pullover, jeans e berretto con visiera, e la scritta CGIL, possiamo definirlo un pastore “postmoderno”, che, nonostante tutto, conserva tracce autentiche, e non relitti, della sapienza arcaica. E, dato che abbiamo avuto qualche traversia lungo il viaggio, nonostante il navigatore, per arrivare sin qui, mi fermo e chiedo conferma che siamo finalmente sulla via giusta. E lui ci fa: «Sì, jate muro muro!». E, a un’altra richiesta, se abbia visto altre auto con persone salire verso Cairano per il convegno, lui annuisce. E quando gli chiedo come vanno oggi l’agricoltura e la pastorizia, rispetto al passato, risponde che qui va tutto male. Che peggio non può andare, e poi, quasi un’invocazione: «Ditelo a quelli del convegno, che facessero qualcosa! Noi non sappiamo più come fare, qui stiamo tutti morendo…». Non avrei immaginato di palpare da queste parti tanta disperazione esistenziale. Che purtroppo è reale. Gli prometto che farò qualcosa. Ma che posso fare io, un emigrato senza alcun potere, e neanche invitato a parlare su a Cairano, che me ne partii negli anni Settanta dalla mia Irpinia, perché troppo sfiduciato? Forse, posso scrivere qualcosa. È ciò che mi riesce meglio. E, infatti, scrivo questo pezzo. E potrei raggrumare le mie sensazioni in qualche verso. Ma serve questo mio sforzo, pur piacevole e volenteroso, a qualcuno o a qualcosa? Non posso svelare, all’anonimo interlocutore, che la stagione dell’assistenzialismo è finita e che oggi i soldi arrivano solo sui progetti approvati. Ma gli chiedo se posso scattargli una foto. Lui acconsente. Con una triste allegria, esibendo il “serpente” della clava e dice che lo rappresenta. Quasi un simbolo apotropaico. Ecco, forse potrebbe essere lui, il rettile di legno scolpito con passione, ad allontanare in un rito propiziatorio tutto il male di questa terra. E io, di foto ne scatto un paio.

                                      

Il tempo è cupo e imbronciato. Nuvoloni s’addensano sulle colline e sui monti del circondario. Ma il pastore, che pare una divinità agreste arcaica, ha un ombrello grosso sotto il braccio, di color verde – cromia che prepotentemente fa ritorno – a quadroni blu. Lo salutiamo, contagiati dalla sua disperazione, col nostro sorriso mesto. E andiamo a scalare il colle, come ci ha suggerito: lungo il muro. Che cerca di proteggere la strada dalle frane. Perché il dissesto idro-geologico è perennemente in agguato. E, infatti, al ritorno dopo la fine della tavola rotonda, dobbiamo cambiare strada, a causa di una grossa frana che s’è verificata. La tempesta d’acqua ci era riservata per quando saremmo stati su. Soprattutto durante gli interventi nella sala della tavola rotonda. Una sala gremita, dove arriviamo traghettati da una Panda Fiat, provvidenzialmente messa a disposizione dall’organizzazione, per scalare le anguste vie del paesino. La pubblicità all’evento e il passaparola hanno funzionato bene stavolta. Presiede i lavori Antonio Guerriero, Procuratore della Repubblica di Sant’Angelo dei Lombardi. Si alternano a parlare Luigi D’Angelis, sindaco del comune di Cairano, il Presidente della provincia di Avellino, senatore Cosimo Sibilia, Andrea Orlando, deputato PD, Arturo Iannaccone, deputato di Noi Sud, Francesco Todisco, vice-segretario provinciale del PD, Gerardo Pompei D’Angola, vice-presidente della Comunità montana Alta Irpinia-SeL, Giuseppe De Mita, dell’UDC e vice-presidente della Giunta regionale della Campania, Sabino Basso, Presidente della Confindustria della provincia di Avellino, Gianni Festa, direttore del Corriere dell’Irpinia, Franco Genzale, direttore di Buongiorno Irpinia, Bruno Guerriero, direttore di Ottopagine, Generoso Picone, direttore del Mattino-Avellino. Personaggi che contano in questa realtà, come si può notare. E tutti parlano bene. Perché in questi casi ci si prepara, per fare bella figura e anche per confrontarsi in qualche morbido scontro, a differenza di quanto avviene in tivù con la politica gridata e insultata. Non invitato, a sorpresa era arrivato in sala anche Ciriaco De Mita. A chiusura del dibattito lo invitano a parlare. Lui prima si nega. Ma poi cede e, tra le cose che dice, addebita al governo Berlusconi di aver cancellato la speranza. E poi, cita suo nonno, che gli confidava: «Chi parla del passato muore, chi parla del futuro vive». Io personalmente me ne andai dall’Irpinia, quando le prospettive non parevano male. Arrivavano ancora i soldi del terremoto del Sessantadue, ma molti miei amici erano già emigrati. Ero figlio di una contadina vedova e comunista. Mi laureai nel Settanta a Napoli e i figli dei comunisti erano corteggiati dai democristiani. D’altronde bisognava sottrarre energie e voti all’avversario. Mi fu offerto, senza averlo chiesto, un posto ad Avellino. Qualche amico avrebbe fatto carte false per avere un’opportunità del genere. Ma io sapevo com’era. A ogni tornata elettorale, ti montavi lo Scudo crociato sul portapacchi dell’auto e battevi i borghi del feudo. Ma neanche i comunisti mi piacevano, con quel loro modo, “clericale” senza Dio, di abbindolarti. Arrivai a Trento, ex terra d’emigrazione, e mi andò di lusso. Il Trentino, Provincia autonoma, sul turismo, sull’arte e sulla cultura investe molte risorse. E negli anni, ne ha fatto fonti di reddito imprescindibili per la collettività. Il turismo trentino fa sinergia con l’arte, le mostre, i musei, l’enogastronomia, la produzione vinicola, l’ambiente, i laghi, le montagne, lo sci, le ciclabili. Visto che tante imprese dell’Irpinia soffrono o chiudono, se potesse servire, il Trentino è un esempio da non trascurare.   (Questo articolo, scritto per il Corriere-quotidiano dell’Irpinia e il Blog Piccoli Paesi, è fruibile nel sito www.angelosiciliano.com).  

Montecalvo Irpino, 5 agosto 2011 Angelo Siciliano