Presentato a Palazzo Roccabruna il 30 marzo 2007

“Giuseppe Šebesta e la cultura delle Alpi”

Nella magnifica sede di Palazzo Roccabruna, il 30 marzo 2007, era presentato il volume “GIUSEPPE ŠEBESTA E LA CULTURA DELLE ALPI, SM Annali di San Michele 20/2007, Atti del Seminario Permanente di Etnografia Alpina (SPEA10) 2005”, a cura di Giovanni Kezich, Luca Faoro e Antonella Mott. Il libro accoglie gli atti del convegno di quattro giorni SPEA10, tenutosi a San Michele all’Adige (TN) dal 24 al 27 nov. 2005, dedicato a Giuseppe Šebesta, di padre boemo e madre trentina, scomparso a 85 anni il 9 marzo 2005. Oltre che un omaggio al personaggio dell’arte e della cultura, al creativo geniale, pioniere e precursore in tanti campi e discipline, tributatogli da amici, studiosi e specialisti dell’etnografia, dell’antropologia, della demologia, della museografia, dell’etnomusicologia, della cinematografia dell’animazione, della favolistica, dell’iconografia popolare, della lessicografia dialettale e dell’animazione con la computer-grafica, convenuti per l’occasione, è una consacrazione del suo operato che fa giustizia delle incomprensioni e maldicenze patite in vita, per via del suo carattere, al di là del consenso di facciata.

Sarebbe piaciuto anche a me portare un personale contributo a questo convegno. Avevo goduto di una certa frequentazione con Bèpo Šebesta in vita. Ero stato invitato a intervenire, ma il tema da me proposto, una ricognizione sul costume di Scanno, su cui lui aveva lavorato (mi regalò nel 1994 il suo libro Il costume di Scanno edito dalla Fondazione Tamburri), e che, partendo dall’Abruzzo, mi sarebbe servito come spunto per indagare la sua fascinazione per l’immaginario collettivo meridionale e mediterraneo (una volta mi raccontò con commozione delle sue incursioni alle chiese rupestri di Gravina di Puglia) evidentemente esulava dalla tematica, specificatamente alpina, fissata per il convegno.

S’inquadrava la presentazione di questo libro, nel rapporto di collaborazione che s’è instaurato in questi anni tra il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina e la Camera del Commercio (C.C.I.A.A.) di Trento, che ha destinato Palazzo Roccabruna a “Casa dei prodotti trentini”.

Nell’intervento introduttivo al convegno, proprio da Šebesta, fondatore del Museo di San Michele, Giovanni Kezich ha scritto di voler ripartire, lui che dal 1991 gli è succeduto come direttore del museo.

Una vita sicuramente instancabile e piena quella di Šebesta. Unica e inimitabile, come ricercatore sul campo e creativo dai multiformi interessi. Vitale ed esplosivo, introverso e spesso intrattabile per i collaboratori e non solo. Tuttavia, come nella vita di ogni creativo che si avventuri per territori inesplorati, avrà pure avuto qualche ridondanza autoreferenziale, ripensamenti e ritorni sui propri passi, ma i frutti del suo operato sono visibili e tangibili. E questo dovrebbe bastare a sgomberare il terreno da riserve e resistenze se ancora ve ne fossero. Fu poeta, scrittore, inventore di fiabe, pittore, graffitista, autore cinematografico d’animazione, etnografo, antropologo e archeologo. Interagiva con l’immaginario della gente delle valli alpine e non solo. Profondamente mitteleuropeo, con una cultura vastissima, baciato da tutte le muse, forse eccetto una, la musica, scrive Kezich. Tuttavia, come documenta Renato Morelli nel suo intervento, è stato il pioniere della ricerca etnomusicologica in Trentino. Col registratore a filo, infatti, nel 1949 raccoglieva le testimonianze canore della cultura orale in Val dei Mocheni, dove si era rifugiato e avrebbe scoperto la laboriosità e l’ingegnosità, di quegli appartati valligiani alloglotti, nel costruirsi gli strumenti di lavoro. E poi a quell’epoca lui sapeva suonare la rèta, l’organetto diatonico più diffuso nella valle per i balletti folkloristici.

Oltre al Museo Etnografico di San Michele all’Adige, sono sue creature anche il Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna di Santarcangelo e il Museo degli Zattieri di Codissago, dove scorre il Piave, vicino Longarone. E si tratta di musei di prima grandezza in Italia. Ma lui è stato anche il teorico innovativo di come si fa un museo etnografico abbandonando vecchi schemi accademici, per un percorso interdisciplinare tra archeologia ed etnografia, con l’utilizzo dell’iconografia storica e della storia della tecnologia. Non basta esporre oggetti didascalizzati e decontestualizzati in ambienti asettici, per rendere vivo un museo agli occhi della gente. In ossequio all’ergologia, per Šebesta, che aveva una straordinaria capacità manuale, al centro di tutto va posto il lavoro dell’uomo, ripercorso attraverso gli strumenti adoperati da contadini e artigiani nel lavoro quotidiano e, andando a ritroso nel tempo, si arriva a capire come esso era svolto e come si è evoluto nei secoli, calandosi talvolta fino alla preistoria. Šebesta ha fatto proseliti e tanti museografi militanti ne hanno seguito le orme, creando a loro volta musei, perché il suo è un metodo etnomuseografico non solo innovativo, ma ha anche il pregio di essere stato teorizzato per essere messo in pratica.

Se spesso Šebesta era scontroso, era perché si vedeva circondato sul lavoro da giovani laureati ad inizio carriera, poco propensi a “sporcarsi” le mani con gli oggetti. Era indispettito al punto che una volta mi confidò che il suo schedario personale, vero e proprio scrigno di memoria creativa con appunti, schizzi, disegni, foto, ritagli di giornali e libri, lo avrebbe donato a un’università austriaca. Ma ora apprendo con piacere, dallo scritto di Antonella Mott, che quella raccolta di 10.000 schede è custodita con grande cura dal Museo di San Michele.

Intervenendo tra il pubblico presente alla presentazione del libro, Ulisse Marzatico, che è stato amico di Šebesta, puntualizzava che lui aveva la capacità non comune di creare cultura e che dal convegno non è stato dato risalto alla sua arte pittorica. Eppure il Castello del Buonconsiglio allestì un’importante mostra antologica con i suoi quadri alcuni anni fa. Aggiungeva che i politici, che mal sopportavano il personaggio, non sempre avevano la percezione dell’importanza delle sue proposte, che nascevano da intuizioni geniali, e non ne assecondavano sempre le iniziative. Il Museo degli Zattieri, fatto a Codissago, lui lo avrebbe creato volentieri a Sacco di Rovereto, che nei secoli passati era uno degli scali importanti per il trasporto fluviale di merci e legname sul fiume Adige. E quel che più conta, lo avrebbe creato lavorando gratis.

Ma anche la patria boema di suo padre gli ha tributato riconoscimenti e onori con una mostra del 1998, trasferita nel 2000 al Museo Nazionale dell’agricoltura di Praga.

Il Museo di San Michele è molto attivo e si trova ad operare in un territorio, quello trentino, in cui i vari musei sono in ammirevole competizione per quanto concerne le offerte culturali al pubblico. Nel 2006 organizzò una bella mostra a Palazzo Roccabruna “Dèmoni pastori e fantasmi contadiniLe mascherate invernali dalle Alpi orientali ai Balcani”, abbinata alla caseificazione e a un convegno internazionale sullo stesso tema. Il 27 aprile di quest’anno, a chiusura del convegno “Viaggio nell’immaginario popolare trentino” era inaugurata, gemellata col Festival della Montagna, sempre a Palazzo Roccabruna, la mostra “Viaggio nell’immaginario popolare trentino – Storie di uomini selvatici, di anguane e d’altro ancora… Šebesta e Foches”.

Bèpo Šebesta, ovunque si trovi, può essere contento. La sua creatura è in buone mani. È viva e vegeta e, almeno per ora, lui non ha motivo di brontolare. (Questo articolo è nel sito www.angelosiciliano.com).

 

Scheda del libro

Il libro GIUSEPPE ŠEBESTA E LA CULTURA DELLE ALPI, SM Annali di San Michele 20/2007, Atti del Seminario Permanente di Etnografia Alpina (SPEA10) 2005, a cura di Giovanni Kezich, Luca Faoro e Antonella Mott, di 342 pagine, con 75 illustrazioni in bianco e nero e 64 a colori, riporta le relazioni di Luigi Zanzi, Romano Perugini, Giuliana Sellan, Renato Morelli, Daniela Perco, Ester Cason Angelini, Emanuela Renzetti, Antonella Mott, Roberto Togni, Mario Turci, Johnny Gadler, Franco Da Rif, Gaetano Forni, Massimo Pirovano, Naděžda Bonaventurova, Stefano Fait, Laura dal Prà, Christian Abry e Alice Joisten, Andrea Foches, Corrado Grassi, Lia Zola, Cesare Poppi, Francesco Prezzi, Mario Rigoni Stern, Giovanni Kezich e Antonella Mott. Edito dal Museo degli usi e Costumi della Gente Trentina (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; www.museosanmichele.it), è stampato dalla Litotipografia Stampalith di Trento nel marzo 2007. Il prezzo di copertina è di € 32.

POSTERI*

 

Carbonai metallurghi
a noi posteri tramandarono
tracce mimetizzate oggetti rari.
Qualcuno interpreta
le     non    scritture
sillaba le non lingue
ode   le    non   voci
tutto      ci     riporta
per filo e per segno.
 
* A Giuseppe Šebesta
Angelo Siciliano, Zell 1994
Questa poesia è edita nella mia raccolta DEDICHE, 1994, delle Edizioni ARCA di Trento.
 
 
            Zell, 18 maggio 2007                                                              Angelo Siciliano