Da emigrato irpino mi innamorai delle Alpi e ho avuto modo, assieme ad Ipo amico palermitano, di fare ferrate, sentieri, passi, attraversare valli e salire vette, ma ho fatto poche escursioni sulle montagne del Sud. In Abruzzo: la Camosciara partendo da Civitella d’Alfedena. In Calabria: la Sila dei laghi. In Sicilia: i monti attorno a Palermo, Cuccio, Pellegrino e Grifone; la Pezzuta sopra Piana degli Albanesi; Pizzo Trigna e Le Madonie. Due obiettivi escursionistici li sto accarezzando da tempo: il Gran Sasso e l’Etna. Appassionato di funghi, mi piace andare e, lo confesso, un po’ sperdermi con i miei due cagnolini tra faggi, larici, pini silvestri e pecci dei boschi trentini. Ho sempre ammirato, osservandole dal mio paese nativo, Montecalvo Irpino, le montagne del circondario, che si imbiancano alle prime nevi autunnali: Campitello Matese, Taburno o “Dolce Dormiente”, Partenio e i Picentini col Terminio e il Cervialto. Certo, non si tratta di vette dolomitiche, eppure negli anni è cresciuta in me la curiosità e la voglia di poterle salire un giorno, per scoprirne la bellezza,

la flora e la fauna, per provare l’ebbrezza di un orizzonte più vasto, che apre il respiro, per guardare oltre l’ampia cerchia montana, magari sino al mare dove ciò è possibile. Per varie ragioni ho dovuto rinviare nel tempo la realizzazione di tale aspirazione, fino a che non ne parlai con l’amico compaesano Gaetano Caccese, intraprendente istruttore di judo, di sci e di alpinismo, formatosi negli anni Settanta in Svizzera dov’era emigrato, che diffonde anche nelle scuole le sue idee e iniziative.

Rientrato definitivamente in Italia nel 1986 e trapiantatosi ad Ariano Irpino, dove gestisce con la sua signora Rita una palestra ed è presidente del locale Judo Sci Fitness Club (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), oltre che occuparsi delle pratiche sportive di judo e sci, egli organizza Progetti U.I.S.P., Unione Italiana Sport per Tutti, in collaborazione col C.A.I., Club Alpino Italiano, di Avellino a partire dal 2000: escursioni in montagna e trekking culturali alla riscoperta dei luoghi storici della nostra terra, anche quelli sconosciuti o poco noti, senza trascurare miti e leggende che gli antenati ci hanno tramandato a riguardo di essi, e dell’enogastronomia tradizionale che gli agritur locali hanno riscoperto per proporla ai buongustai. L’istituzione della palestra, oltre che per reintegrarsi nell’ambiente, gli è servita in questi anni per attrarre i giovani e invogliarli a praticare sport sani, per poter poi partecipare a gare organizzate dalla Lega U.I.S.P., ente sportivo riconosciuto dal CONI e dallo Stato, sia a livello regionale che nazionale. Per lui, andare per montagne e fare escursioni cogli amici è una pratica abituale e conviviale, anche per tenersi allenato per le attività sportive che pratica e induce a praticare.
 

                        Terminio e Cervialto

 Con Gaetano e un suo amico, nel 2004 salivo finalmente sul Terminio alto 1786 m. Un’escursione esaltante per una meta raggiunta, dopo una salita non agevole per il versante meno frequentato. La cosa straordinaria che ricordo, oltre all’essere arrivato in vetta, fu l’incontro con un faggio secolare nella splendida faggeta alle pendici del monte, nel territorio di Volturara Irpina. “Albero monumentale d’Italia” è scritto sulla sua tabella, del genere Fagus selvatica, alto 25 metri e con circonferenza alla base del tronco pari a m 6,20. Trattasi di un autentico gigante, chiaramente l’antenato vivente dei faggi circostanti. Chissà che non sia l’incarnazione di una divinità dei boschi, attrazione di gnomi e folletti locali, scampato alle folgori e agli incendi, oltre che alla bramosia di legna o carbone da parte dell’uomo!

In giugno 2008, sempre con Gaetano, dopo aver attraversato l’Alta Irpinia, eravamo di nuovo nei Picentini per salire questa volta sul Cervialto. C’era stata una notte di acqua e vento, ma la mattina seguente si partì lo stesso. La tempesta era stata particolarmente violenta nell’area del Laceno, con molti rami spezzati sulla carreggiata e ancora venivano giù scrosci di pioggia.
 

Quando lasciammo l’auto e ci avviammo per salire verso la cima, il cielo era ammantato di nubi scure, il sottobosco bagnato fradicio e ci attendevano circa ottocento metri di dislivello. Tuttavia, la scalata si rivelò agevole e il cielo si aprì man mano che ci si avvicinava alla vetta, m 1809 sul livello del mare, la più alta dei monti dell’Irpinia. Una cima, con più crinali, ampia e sassosa con chiazze erbose fiorite qui e là: un habitat ideale per le marmotte delle Alpi. Alcuni uccelli cantavano nella faggeta al nostro passaggio: pettirossi, cince e, soprattutto, il tordo bottaccio a segnalare il suo territorio di nidificazione.

Dalla vetta, su cui, spezzato di netto alla base da qualche tempesta, era crollato a terra il grosso palo di ferro con l’antenna del ripetitore del Ponte radio dei Vigili del fuoco, si potevano ammirare la catena dei Picentini e i tracciati chiari delle piste da sci del Laceno, il lago e in lontananza l’abitato di Montella. Era distinguibile anche la piana di Battipaglia verso ovest, ma a causa della foschia non si vedevano né il Tirreno e, verso sud-est, nemmeno le propaggini del massiccio del Pollino.

 

Parco Nazionale del Pollino

E proprio il Pollino, finalmente, è stato la meta di inizio settembre 2008. Da almeno un paio di decenni seguivo, attraverso filmati o riviste specializzate, i propositi e gli esiti dell’istituzione di questo parco e, quando scendevo o risalivo da Crotone, mi ripromettevo che prima o poi vi avrei fatto un’escursione.

Stavolta si era in tredici: amici di Avellino, Atripalda e Ariano Irpino. Oltre a Gaetano e a Carmine di Palma, geologo e ispiratore dell’attività del gruppo, partecipava anche Antonio Maffei, presidente del C.A.I. sezione di Avellino, che ha provveduto a far segnare, in collaborazione con la Comunità Montana ed Ente Parco del Partenio, i sentieri del parco in cui passa il Sentiero Italia, indicato con la sigla S.I.

L’appuntamento era all’uscita di Campotenese, sull’autostrada A3 SA/RC. Ad alcuni chilometri di distanza, sul Piano Campolongo, altitudine 1028 m, ci portavamo al rifugio “Biagio Longo”, intitolato al botanico di fama nazionale (Laino Borgo-Cs 1872 – 1950 Roma), promotore nel 1920 dell’istituzione del Parco della Sila in Calabria, docente e dirigente in diverse università italiane, che nel 1905 identificò scientificamente il pino loricato, Pinus Leucodermis, aghifoglia a crescita lenta. Questo nome è dovuto alla sua caratteristica corteccia a grosse placche a forma di poligono irregolare, le loriche, che costituivano la corazza di cuoio indossata dai soldati dell’antica Roma per la difesa del petto, dell’addome e della schiena. È un fossile vivente, un’autentica rarità botanica presente solo sul Pollino e sui Balcani in Grecia, diventato il simbolo del Parco del Pollino, che si estende tra Basilicata e Calabria, dove presenta le vette più alte: Serra Dolcedorme 2267 m, Monte Pollino 2248 m e Serra del Prete 2181 m.

Al rifugio, dove avremmo pernottato, eravamo attesi dal presidente del C.A.I. di Castrovillari (www.caicastrovillari.it), nonché vicepresidente della Lega Sci U.I.S.P., Eugenio Iannelli. La cena, prevista e consumata presso l’Agriturismo “Il Vecchio Fienile”, poco distante dal rifugio, era costituita da ottime specialità calabresi del posto.

L’indomani, sveglia per tutti alle sei e dopo un’ora partenza per l’itinerario escursionistico sul Pollino, guidati da un emissario del C.A.I. di Castrovillari, Giuseppe Filomia, che avrebbe assolto magnificamente il proprio compito. La meta era Serra Crispo 2053 m, per poterci godere tutti i loricati possibili.

La giornata si preannunziava magnifica e, partiti in auto, dopo una breve sosta al bar di Piano Ruggio, nel territorio del comune lucano di Viggianello, ci si portava fino al punto da cui avremmo proseguito a piedi, avviandoci per un ripido sentiero che attraversava una splendida faggeta. Dopo un paio d’ore di cammino si arrivava a Piano Toscano. In sequenza avevamo di fronte a noi, da est verso ovest, le tre cime di Serra del Prete, Pollino e Serra Dolcedorme. Superato il Piano Toscano si giungeva al Piano del Pollino e i pini loricati si mostravano nella loro evidenza: in massa lungo i fianchi della montagna di fronte a noi e, isolati, imponenti e ombrosi, verso Porta del Pollino e di più al Giardino degli Dei. Pini ancora vivi e rigogliosi, taluni feriti dalla folgore, alternati a pini morti, col tronco ripulito della corteccia, scheletri chiari ancora in piedi o crollati miseramente a terra. Ma la tragedia del loricato ultramillenario – noto col nome di “Zi’ Pèppo” a chi è assiduo del parco – si presenta agli occhi degli escursionisti al pianoro di Porta del Pollino: un enorme scheletro bianco riverso a terra, più imponente di quello di un ipotetico gigantesco dinosauro, partorito dalla fantasia di qualche paleontologo. È ciò che resta di quell’albero monumentale, simbolo di questa terra e simbolicamente bruciato con taniche di carburante, per sabotaggio, da coloro che si opponevano all’istituzione del parco.

Lungo il percorso non s’incontravano piante fiorite, perché ormai a fine estate avevano tutte prodotto i semi, tranne un cardo col fiore ancora verde, la carlina.

Si proseguiva facendo la conoscenza di altri loricati, giovani e adulti, e costeggiando strapiombi dall’aspetto alpino. A un tratto l’occhio poteva spingersi verso il golfo di Sibari, ma la foschia si frapponeva alla vista del mare Ionio. Dalla cima di Serra Dolcedorme invece, foschia permettendo, si può vedere il Tirreno.

In cima a Serra Crispo si poteva finalmente consumare il pranzo al sacco e rilassarsi al sole. Dopo un’oretta ci si avviava per tornare all’auto e intraprendere il viaggio di rientro a casa. Una giornata splendida, che, per quel che mi riguarda, ha ripagato degnamente anni d’attesa per il primo approccio col Pollino.

Il Parco del Pollino fu istituito nel 1993, per un turismo e uno sviluppo ecocompatibili ed ecosostenibili. Non molto distante dai litorali ionico e tirrenico, è caratterizzato da copiose precipitazioni, perciò i boschi sono ricchi di una vegetazione varia e rigogliosa. Si estende per una superficie di circa 200.000 ettari con diverse vette, cinque delle quali oltre i 2000 m, ed è considerato il più vasto Parco Nazionale d’Italia.

Sono presenti animali selvatici come l’aquila reale, l’avvoltoio capovaccaio, l’istrice, il tasso, la lontra, lo scoiattolo, il ghiro, il lupo e il capriolo.

Nel parco si possono praticare tante attività sportive: escursionismo, alpinismo, arrampicata, speleologia, torrentismo o canyoning, canoa, rafting, mountain bike, equitazione, racchette da neve, sci di fondo escursionistico e sci alpinismo.

Nonostante le sue enormi potenzialità, con i suoi 2000 km di sentieri, percorrendo i quali è possibile conoscere la flora con i suoi endemismi, le bellezze naturalistiche ed ambientali del territorio, i prodotti gastronomici tipici delle fattorie e delle cooperative di produzione del posto, i siti archeologici, i santuari, i ruderi di castelli e conventi, la cultura, la storia, nonché le tradizioni delle genti degli antichi borghi del Pollino, il parco non si è compiutamente sviluppato come era nelle attese. Tuttavia, per chi avesse voglia di liberarsi, per qualche giorno, dalle pastoie di tante futilità che ci propina e impone la modernità contemporanea, nel Pollino è ancora possibile un tuffo nella natura incontaminata e nel passato di un grande polmone verde del Sud. Un modo per riconciliarsi con la Madre terra o, come predicava San Francesco, con Sorella terra.

(Questo testo, scritto per il Corriere-quotidiano dell’Irpinia, è fruibile nel sito www.angelosiciliano.com).

Zell, 1 novembre 2008                                                                                                                                      Angelo Siciliano