Ugo Winkler se n’è andato il 18 marzo 2008 a 68 anni. La resa, dopo una lunga e grave malattia. In questi ultimi tempi, pareva che l’avesse fatta franca. E invece, il male ha avuto il sopravvento. Ha portato avanti tanti progetti culturali con caparbietà, anche tra infinite difficoltà e incomprensioni, perché ci credeva e non si tirava indietro, nemmeno quando gli altri mostravano scetticismo o indifferenza. All’origine delle sue battaglie c’erano le idee, alimentate sempre da ideali di libertà, pace e democrazia.Primogenito tra i tre figli maschi del grande scultore Othmar Winkler (Brunico 1907 – Trento 1999), artista tedesco sud-tirolese, che aveva scelto Trento come luogo per viverci con la propria famiglia e creare la sua arte, nacque a Firenze nel 1940 e, dopo essersi laureato in fisica a Torino, ha insegnato matematica ai geometri sino alla pensione. Sposato con Wanda Chiodi – la donna importante che si è meritato – nel 1973 aveva partecipato alla fondazione del Circolo Picasso e, dopo il golpe di Pinochet in Cile, che aveva abbattuto il governo democratico di Allende, aveva fatto conoscere a Trento la cultura cilena e la poesia del grande poeta Pablo Neruda, già premio nobel, che sarebbe morto sotto la dittatura militare. Nel 1975 fondava l’Arci del Trentino e, da comunista amante dell’arte e della cultura qual era, ha inventato mostre, promosso incontri,

convegni, dibattiti e scambi culturali, che si sono rivelati talvolta dei veri e propri eventi. Wanda lo ha sempre sostenuto ed è stata eletta prima consigliere provinciale del Pci e poi dei Ds, di cui è diventata presidente del partito. Ha organizzato molte mostre d’arte in questi anni, per far conoscere l’opera di artisti impegnati nel sociale e per la pace. Nel suo operare mostrava la stessa energia che promana la maggior parte delle opere paterne.

Con l’Arci organizzò nel 1986, al Centro ex S. Chiara di Trento, una mia mostra antologica di pittura, che per me rimane tra le più importanti che abbia realizzato, ma una mostra eccezionale, concomitante alla mia, che Ugo organizzò, e di cui conservo un ricordo toccante, fu quella con i disegni dei bambini deportati dai nazisti e rinchiusi nel lager di Terezìn, dove quegli innocenti furono in buona parte annientati.

Tra le attività portate avanti in questi anni, nel segno delle battaglie e dell’impegno civile, vanno ricordati i rapporti intrecciati con Dresda e Lipsia della ex DDR, per far conoscere al Trentino il teatro, l’arte e la cultura progressista tedeschi. Ha avuto intensi contatti con i Sorbi, una minoranza slava in Germania, per la quale ha organizzato una mostra che ha girato per l’Italia.

L’ultimo viaggio in Russia, Ugo l’aveva fatto nella tenuta di Tolstoj, la Yasnaya Polyana, per ripristinare, con analoghi meli della trentina Val di Non, i meleti secolari danneggiati dal tempo.

Il 19 dicembre 2007, l’Arci presentava, nella Sala delle Margonerie al Castello del Buonconsiglio di Trento, il volume La pietra nera di Nassirirya di Giovanni Pettinato, professore dell’Università la Sapienza di Roma e membro dell’Accademia dei Lincei, e di Silvia Chiodi, primo ricercatore del C.N.R. sezione orientalistica. Il volume è il diario della spedizione C.N.R. 2006 in Iraq, per il progetto “Museo virtuale di Bagdad”, ed è un esempio di solidarietà verso una terra, culla di una tra le civiltà più antiche e straordinarie, orribilmente devastata dalla guerra.

L’ultima fatica di Ugo Winkler è stata la due giorni organizzata presso il Palazzo della Regione a Trento, il 25 e il 26 gennaio 2008, in cui si sono tenuti una mostra collettiva d’arte e di fotografie e un dibattito su “Ambiente e pace: due emergenze planetarie” con diversi relatori.

Al suo funerale si era in tanti: familiari, amici, sindacalisti della Cgil e della Uil e tanti cittadini. Ma c’era anche la politica, perché davanti alla morte – Totò le dedicò una straordinaria poesia A livella – s’inchinano anche i rappresentanti della politica, amici e avversari. E vi erano tutti o quasi, dal presidente della giunta provinciale Dellai al sindaco di Trento Pacher, e tanti assessori e qualche parlamentare. La morte, che tutto appiana, fa di questi miracoli.

I funerali sono stati celebrati con rito civile, perché Ugo era comunista, il 21 marzo, secondo giorno di primavera, perché in quest’anno bisestile la primavera è arrivata con un giorno d’anticipo. E c’erano le rondini, a mezz’aria, che si inseguivano nel sole sopra le tombe del cimitero. Anch’esse partecipavano, perché si era all’aperto, come piccoli angeli alla triste cerimonia, ma con una qualche allegria, che è tipica di questi volatili migratori, arrivati dall’India o dall’Africa per nidificare sotto le gronde delle nostre case, se ancora ve ne sono.

“Ugo aveva fiducia nell’uomo e da ciò molti cattolici dovrebbero trarre insegnamento”, attaccava don Paul Renner, prete in Alto Adige, docente di Teologia delle religioni a Bressanone e direttore dell’Istituto di scienze religiose di Bolzano, aprendo la commemorazione funebre. La stranezza di questo funerale è che l’orazione funebre l’abbia iniziata un prete, pur non trattandosi di funerale religioso. Ma Don Paul è un prete fuori dagli schemi, come d’altronde Ugo il comunista. Ma questi due personaggi non hanno impersonato, come si potrebbe supporre, Beppone e don Camillo di Giovannino Guareschi, ma hanno trovato spesso motivi per convergere su obiettivi comuni, seppure da posizioni diverse, per realizzare importanti operazioni culturali, come quando si occuparono di eros e sacro. “Ugo rompeva le scatole per costruire i ponti” continuava don Paul.

Poi sono intervenuti il fratello Leo, con parole rotte dal dolore e dal rimpianto, una nipote, due giovani diessini, Claudia Merighi e Giuliano Andreolli, e la Vicepresidente della Provincia, Margherita Cogo. Chiudeva gli interventi la moglie Wanda, che ricordava con voce ferma, ma carica di sentimenti, i trent’anni di vita in comune, il bene che si sono voluti, gli ideali che li hanno uniti e ringraziava tutti per la partecipazione e l’affetto dimostrati.

Il coro alpino Soldanella di Brentonico aveva introdotto le orazioni funebri con un canto e chiudeva la cerimonia con un altro canto, “Dio che guarda”. Ugo amava Brentonico e la sua gente.

Ugo e Wanda non hanno figli. Ricordo che una volta un giornalista chiese allo scrittore Alberto Moravia se era importante avere dei figli. Moravia, che di figli non ne aveva, rispose che i suoi figli erano i libri che aveva scritto. Quindi, pur non sapendo come la pensasse Ugo, sul fatto di non avere figli, lui e Wanda si sono impegnati in battaglie civili e politiche importanti per il bene della gente, ma principalmente per i giovani e, quindi, per i figli altrui.

 

MONITO*

 

Sembianze ignote

e qualche osso

al camposanto

perso o disseminato

nella terra

o un vaso di cenere

altro non serbasi

nell’Aldilà.

Almeno ai vivi

gli ideali

come retaggio

e un monito

ai potenti

che presumono

di poter

tutto tacitare.

 

*A Ugo Winkler

Trento, 21 marzo 2008

Angelo Siciliano

Un paio di volte mi è capitato, in questi anni, di scrivere dell’opera del padre di Ugo, Othmar Winkler, e per accomunare anche lui, scomparso nel 1999, alla morte di Ugo, allego di seguito ciò che scrissi nel 2004, in occasione di una retrospettiva a Luserna. Anche Othmar, con la sua arte, gettava ponti tra culture e mondi diversi. (Questo testo è nel sito www.angelosiciliano.com).

 

 

 

L’ALBERO DELLA VITA

Retrospettiva di Othmar Winkler

presso il Centro di Documentazione Luserna

 

Luserna, piccolo paese degli Altipiani tra pascoli e boschi dove sono anche Folgaria e Lavarone, è nota per la sua peculiarità di minoranza linguistica: i suoi abitanti parlano il cimbro, antica lingua germanica.

È l’isola germanofona più meridionale.

Ha un proprio museo, il Centro Documentazione Luserna, nelle cui sale sono esposti la storia cimbra, alcuni aspetti della flora e della fauna locali, il lavoro nelle malghe, scene della Grande guerra e costumi austroungarici dell’Ottocento.

Nei locali a pianterreno del suddetto Centro, l’11 giugno 2004, s’inaugurava la retrospettiva di Othmar Winkler (Brunico 1907 – Trento 1999), artista tedesco sud-tirolese, che scelse Trento come luogo per viverci con la propria famiglia e creare la sua arte.

La mostra rimarrà aperta sino a novembre prossimo ed è arrivata da Milano, dove era stata ospitata presso la Galleria Lazzaro by CORSI, che l’aveva prodotta in collaborazione col Centro Documentazione Luserna.

È una mostra che, oltre a sculture in bronzo, in cui Winkler seppe liberare in modo magistrale il suo grande estro creativo, accoglie anche sculture in legno, acquarelli, disegni a china, a biro e terrecotte.

Sono opere che danno l’idea dell’immaginario winkleriano, che si alimentava di storia e cultura, anzi di culture, tra cui quella popolare che assume un ruolo predominante.

Egli era portatore della cultura tedesca ma, da onnivoro qual era, subiva la fascinazione della cultura italiana e della civiltà mediterranea.

Emblema e titolo della mostra è L’albero della vita, dall’altorilievo in bronzo del 1977 (cm 96x54x10), dalla forma singolare che, nella ridotta riproduzione in catalogo, pare un pugnale senza manico con la punta tronca. Riporta un’articolata scena simbolicamente espressionista con querce, il sole e sei figure umane in posture d’amore, di vita e di morte.

Un senso gotico popolare pervade questa e altre opere, come quelle prodotte per la committenza pubblica, talvolta con una ruvidezza estetico-plastica che è anche indice della scontrosità del Winkler artista, personaggio spesso osteggiato in vita, al punto da fargli definire i dirigenti democristiani d’allora “demoni cristiani”, e sudare le sette camicie, e non solo quelle, per riuscire ad incassare il corrispettivo di un’opera prodotta per una committenza clericale, che lui aveva avuto l’ardire di decorare con un simbolo ideologico di sinistra.

Conoscevo personalmente Othmar Winkler.

Ricordo una confidenza di Gualazzi senior, fondatore della Galleria “Il Castello” di Trento. Si era negli anni Ottanta e, in occasione di una personale di Winkler in questa Galleria, quando si trovava ancora sul Teatro Sociale, in via Oss Mazzurana, appunto il signor Gualazzi mi riferiva della borghesia trentina scandalizzata a causa di un’opera colà esposta, un Cristo morto in bronzo, con un “bigol” così. Come se quella nudità integrale, solo perché del Cristo uomo, nell’estremo abbandono della mortalità terrena, non potesse che avere un’interpretazione se non esclusivamente dissacrante o blasfema agli occhi dei perbenisti e bacchettoni.

Di Winkler si può dire che ha vissuto con coerenza, fino in fondo, la sua vita di uomo e di artista. Senza il timore di tracannare l’amaro calice che la sorte assegna agli artisti autentici, che non temono di contaminare la propria arte con gli accadimenti del mondo.

Egli ha attraversato il Novecento e ha saputo leggere e rappresentare i drammi dell’uomo.

Al di là di certi accostamenti ad altri artisti – Manzù, Messina, Minguzzi, Munch –, non si può non affermare che ogni sua opera non poteva che appartenere alla sua cifra stilistica e valenza poetica. Si badi bene: una poesia visiva, epica che si carica talvolta di rimandi surreali, come nei bronzi Toro con calabrone e Toro con scorpione.

Tante sue sculture sanno cogliere l’essenza della fatica e della durezza di vita e del lavoro degli uomini, immersi in un’aura d’atmosfera medievale.

Ha saputo essere multiforme, spaziando dal sacro al profano, al pagano non ponendo paletti alla propria creatività.

I suoi esseri del bosco e le sue creature faunesche e satiresche danno vita ad esseri mitici che accomunano la favolistica nordica a quella mediterranea.

Nei disegni e negli acquarelli rivivono reminescenze d’orripilanti figure druidiche, con occhi iniettati di sangue o di fuoco.

Esseri arrivati da lontano, dal subconscio individuale e collettivo, che l’arte di Winkler ha saputo evidenziare o materializzare.

 

 

(Questo articolo, datato 20 luglio 2004 e pubblicato sulla rivista UCT di Trento, è presente nel sito www.angelosiciliano.com).

 

Catalogo

• Testi: Luigi Nicolussi Castellan, sindaco di Luserna; Luigi Marsiglia e Massimiliano Castellani.

• Ricco apparato iconografico di Claudio Tessaro; fotografie di Hugo Muñoz.

• Progetto grafico e stampa a cura D. P. G. PUBBLICITÀ S.R.L. (MI).

 

            Zell, 25 marzo 2008                                                                Angelo Siciliano