FERMENTI - antologia  Editore: Libro Italiano World di Ragusa 2004 · 1 gen 2004 La critica del Prof. Giuseppe D'Errico:

PER PRIMO LEVI: ALLA MEMORIA*

 Un’implosione:

gli ebrei i nazisti il lager.

L’olocausto incombe.

 

Una chiazza di sangue

su un ballatoio del palazzo

diffusa da una tivù impietosa.

La gente gradisce cronache crudeli

ci si schermisce.

 

O Jahveh Jahveh, cos’hai permesso!

L'angelo che inviasti ad Abramo

che giocò con Israel, dov'era?

 

Neutrini ci hanno attraversati:

ecco numeri sulle braccia.

Lusinga di una stella nana

non di un buco nero!

A.SICILIANO – Primo Levi (matita) 2005

Primo Levi, chimico, scrittore, ebreo, ex deportato ad Auschwitz, suicida a Torino, gettandosi nella tromba delle scale del suo palazzo, domenica, 12 aprile 1987. Non ha potuto resistere oltre al pesante fardello dei ricordi tragici del lager in cui fu internato, anche alla luce di fatti ricorrenti che attesterebbero che il mondo non ha memoria e la storia sembrerebbe non avere insegnato alcunché.

 

ARCHEOLOGIA DIVINA

Dio, Ibwh, aveva moglie

all’origine dei tempi

si specchiava nell’arcobaleno

alimentava il sole d’immani

pulsioni elettromagnetiche

conviveva con dei d’altri popolil

o si rappresentava nella pietra

lo si dipingeva nel vasellame.

Un dì mise ordine per il Mediterraneo

divenne single azzerò la concorrenza

prima globalizzazione della storia

con espropri d’altrui attribuzioni.

Da glabro si fece barbatol

ungi da lui l’alopecia

ispirò l’autopsia delle parole.

La paternità ne consolidò lustropotere

nei templi spogliati riattatiri

popolati di nuove icone.

S’incamminarono i neofiti

perseverando in proselitismi

delocalizzando il martirio.

Sarebbero venuti poi potere temporale

integralismi fondamentalismi

tutti divisi in nome di Dio

guerre di religione e Santa Inquisizione

a imbrattarsi la tonaca col sangue dei giusti

sacrificati della contestazione radicale

cui solo da posteri si sarebbe invocato perdono.

Si sarebbero praticati roghi tanti

non profetizzati unitamente all’attesa

smaniosa del big bang apocalittico.

 

PADRE E MADRE

 

Ermafrodita era Dio

fecondava e allattava

padre e madre insieme

miliardi di semi

molti di meno

i capezzoli.

Un Padre maschio

tutto poteva:

chiedetelo alle femmine

denigratrici dei maschi.

Dio era femmina

con seni stravaganti

dilatati all’inverosimile

e latte abbondante:

chi non crede

ammiri i derivati

di quel latte cagliato.

Una notte a Betlemme

attuò la separazione

del tempo e dei ruoli.

Ora ci sono la banca del seme

e la banca degli ovuli

e i profilattici

stampati ad arte

sono tutti col buco.

 

SCRISTIANITÀ

 

Ciò che all’occhio si gode terra

scristianizzata da costa a costa

aspettative sospese all’equivoco

o peggio all’imbroglio.

Sufficiente uno scorcio di secolo

ai millantatori per affermare

qui e là il deserto.

Non più approderanno cantori

o martiri d’Oriente mistici sapienti

o filosofi alle chiese rupestri

screpolate d’affreschi.

Solo se le stagioni prendessero

a rincorrersi a ritroso

si raddrizzerebbe forse la sorte

ma ogni fondamento di verità

si cementa di dubbi e ciò

non basta nottetempo né ad altra

ora a consolare o infondere coraggio.

 

MERCATO DELLE PULCI

 

Per quell’atavico retaggio d’Oriente

abito mentale ampio o ristretto

permane innata l’inclinazione

alla gestione del lutto.

Pervade il tutto una melodia

flautata di Pan in stato di grazia

struggente di rimandi complicità.

Immagini cristallizzate per secoli

venerate reliquie di santi

ridotte parafulmini alle sontuose

basiliche oggetto di rapinosi gesti

scusa d’infedeli per desertificazione

postuma che da tempo già fa capolino.

Rabdomanti s’ingegnano

alle necropoli metropolitane

captano lacrime per cari estinti

con perizia sconvolgente.

Gli Exultet spaginati a ruba

dispersi per anonime bancarelle

al mercato delle pulci.

 

ARCHEOLOGIA DEI RIFIUTI

 

Archiviato il passato

relegati al presente

più che mai legati

all’amor proprio

al futile dell’inutile

oggetti votati tutti

ad insopprimibile spazzatura.

Nel raccapriccio dello spreco

ferite da non sutura.

L’archeologia dei rifiuti

ci restituisce Milone

sei vittorie ad Olimpia

Pitagora e duecento anime

delle sue reincarnazioni.

Ma il paradiso, dicono,

sono barriere coralline

al Mar Rosso dove

più d’un vascello

sommerso è in gloria.

GROVIGLIO ANTICO

 

Partecipi già lo eravamo

alla vena di verde

tratturo di saliscendi

cromosomi nel neolitico.

Oggi è che siamo assenti

l’occhio irretito

al nastro d’asfalto

senza greggi e compagni cani

le case accasciate

a intrigare la memoria

violazioni indegne

tuttavia tollerate.

Non più fraseggi d’allodole

Pescasseroli all’orizzonte

gli ovini metabolizzati

come tutti i caprini

la mente cede a chi di più l’alletta

senza scampoli di canti né corna

neanche quelle paventate dai pastori.

Una nenia risuona

ignota all’orecchio

e da tempo remoto e lento

si sbroglia un groviglio celato

di culture e mesti riti quotidiani

per le terre di S. Eleuterio.*

 

A Sebastiano Martelli.

* Si tratta di un territorio di Ariano Irpino (AV), confinante con quello di Montecalvo Irpino, e vi passa da tempo immemorabile il tratturo che, da Pescasseroli (AQ), consentiva ai pastori abruzzesi la transumanza sino a Candela (FG).

 

DOPO IL RATTO D’EUROPA

 

Pulsa il cuore vecchio d’Europa

dove si consumò il misfatto

nel mare stanco tra le terre

d’antichi cocci corredato

con trapassati ingessati

e i vivi tutti imbalsamati

di cautele rispettose.

Mare di storie oziose e navi

salpate per itinerari incerti

di successi e catastrofi cercate

per conquiste e commerci

battaglie perse vinte riperse.

Donne recuperate al baratto

dei caprini o sottratte con gesti

rapinosi e ingravidate poi

fattrici di razze variegate.

Infine profanate necropoli

da tombaroli intraprendenti

per ostensioni museali

o per salotti di feticisti.

Ci percepiamo come isole

dove l’approdo è problematico

e un assillo insensato trafigge

un pensiero nostro impertinente

che già sul nascere appassisce.

 

LA GUERRA

Sempre un affare

per taluni è la guerra

non bada a spese

per sfoltire arsenali

vorace di sangue

materie strategiche

agognate ricchezze

nuove conquiste

stupri etnici e vendette

crimini indicibili

sventure e genocidi

sindrome apocalittica

maestra perenne

ad uccidere il dolore

abile col terrore

a sfrattare le anime

di pavidi e valorosi

per traslare le salme

ad imbrattare ideali

col consenso carpito

per tenebrose regioni

inesplorate della mente

sfuggendo non ad una

ma a cento e mille

rinnovate maledizioni.

NON DIMENTICATECI

 

Non dimenticateci noi caduti

in guerra. Per chi?

Ricomposti alla bell’e meglio

negli ossari o dispersi

abbracciati amici e nemici

in fanghi tenebrosi

lombrichi ad accarezzarci

senza ideali da elargire

né calendari da sfogliare

con erotiche sequenze

tutti per voi non per l’al di qua

dove il tempo è scappato

un giorno buio pesto infinito.

 

Non dimenticateci noi caduti

alle guerre civili. Per cosa?

Sfidati voi a discernere

tra canaglie e galantuomini

eroi e millantatori

il giusto e l’ingiusto

labile legame tra vittime e carnefici

ferita dolorosa da lenire

da sempre insanata

finto o vero terrorismo.

 

Conta ancora speculare purtroppo

su tragedie antiche per equiparare

non già per pacificare

e ancora si somma il cinismo

di carrieristi predoni

solo in apparenza metabolizzato.

COZZARE DI STELLE

 

Di tutto ci rifilano

imbonitori senza scrupoli:

panorami di obsoleta concezione

con guadi perigliosi o invalicabili

deserti di canti tediosi e disperati

sublimate menzogne orripilanti

coraggio simulato del volare

d’anime sperdute oltre confine

con ali alle ascelle disinserite

per ovattanti nebulose dove

al cozzare di cadaveri di stelle

s’illumina che è un piacere

uno spicchio d’universo

al silenzio disumano

più assordante.

 

PIONEER 10

 

Trent’anni e continua il viaggio

per miliardi di miglia e miliardi

la sonda recante targa degli umani

ambo i sessi rappresentati e il sistema

di provenienza infinitamente lontano

e un bip bip ormai appena distinguibile.

Chi andrà ad incontrare non si sa forse uno

senza pregiudizi o il Creatore che s’è scordato

di una creatura o figlio ignoto in ogni modo

fardello non scomodo chissà forse

non significante esperimento

marginale ad un disegno ancora

di mano non sfuggito.

QUASI EPITAFFIO

            Per un cubo da rottamare

S’è adempiuto le esequie

dell’I.T.C. Europa a Trento*

senza estendere partecipazioni

nell’estremo consesso collegiale

neppure una lacrima un sospiro

qualche sarcastico frizzo

dose malcelata d’ipocrisia

come ad ogni funerale

da tempo è d’uso col trapasso

relegato oltre virtuali mura.

Progetti volatilizzati rinunce

a propositi a lungo rimuginati

un cubo da rottamare

i saperi forse ancora no

prospettive vaghe per qualcuno

aiuole da cedere ai vicini

qualche lacerazione allucinazione

ormai una carcassa da smembrare:

espianti subiti d’imperio

trapianti dall’esito incerto.

 

* La riforma scolastica, con i presidi trasformati in dirigenti, imponeva l’accorpamento di diverse scuole per la razionalizzazione dell’uso delle risorse. Questa sorte toccava al mio istituto che, nel 2000, veniva così a scomparire e il suo simbolo, rappresentato da un cubo di latta con su dipinte le stelle dell’Unione Europea, era miseramente rottamato.

XX° SECOLO

 

Questo secolo lungo più

di un incubo infinito

affida al millennio

che segue un fardello

apocalittico di tragedie

indicibili ricordi ingessati

per macabre bacheche

un carro cigolante

di cimeli dell’orrore

e un coro silenzioso

tra boschi rinselvatichiti.

Inopportuna e faziosa

la memoria irriverente

d’emblemi esilaranti

impastata la storia

di trilli umorosi

e sconsolate litanie.

 

MAL DI PAESE

 

Non c’è più il prete qui.

Si dileguò il curatore dei corpi

quando come per epidemia

tutti partivano lasciando

case apparecchiate nell’attesa.

Torna ora qualcuno

solo per doverose visite

al camposanto

assumendosene le orazioni.

Un cane randagio permane

per topi campagnoli

e qualche frutto raro.

Sbattono ancora le porte

non scardinate

di camere o balconi

inquilino unico il vento

cui noia arreca

un passero solitario.

S’avviò il declino

nessuno vi fece caso.

Lo coccolammo lusingati

pargolo di cure bisognoso

nel silenzio

suo gemello degno.