FELICE CRISTINO CI HA LASCIATO

Un affabile e ospitale patriarca, depositario dei canti arcaici montecalvesi e una delle ultime “biblioteche” viventi della civiltà contadina Felice Cristino, “zi’ Filìci Pannucciéddru”, nato a Montecalvo Irpino (AV) il 23 dicembre 1921, in una numerosa famiglia patriarcale contadina con dieci figli – quattro femmine e sei maschi –, ci ha lasciato la mattina del 1° febbraio 2010. Grande cantatore, col fratello Giovanni (Montecalvo Irpino, 1933-2005), di canti politici e sociali, funebri, ballate e del poema montecalvese “Angelica” di 107 quartine, l’unico riscontrato in Irpinia, era un raffinato affabulatore e poeta contadino. Era anche alfabetizzato, il che non guastava. 

Era cugino di mio padre per parte di madre, sorellastra di mio nonno. In questi ultimi venti anni ho frequentato, con una certa assiduità, la sua casa rurale e la sua famiglia. È stato per me un informatore prezioso e straordinario, per il recupero della nostra civiltà agro-pastorale. Con lui rivivevo il nostro passato arcaico, riannodando i fili della memoria e “navigando” nell’immaginario collettivo. Come usano dire in alcune etnie del continente africano, in questi casi, sparisce una biblioteca vivente della civiltà contadina.

                                              

Una perdita incolmabile. Ma l’attuale società consumistica, dei reality e dell’effimero, né si accorge né dà importanza a queste cose. Arruolato per la seconda guerra mondiale nell’arma dell’artiglieria, all’armistizio dell’8 settembre 1943, Felice Cristino si trovava nell’isola di Rodi. Vi fu uno scontro sanguinoso tra la sua divisione e 3000 soldati tedeschi. Nonostante sembrasse che gli italiani avessero la meglio, alla fine si arresero e furono fatti prigionieri. Per intimorirli, i tedeschi gettarono in mare molti soldati italiani che affogarono. Per fortuna non vi fu l’eccidio che si consumò invece a Cefalonia. Ma chi dichiarò di non essere disposto a collaborare fu fucilato. Una parte di loro fu spedita in Germania e sul fronte russo. Alcuni di questi soldati italiani, catturati in seguito dagli americani, furono deportati negli USA. Altri, i soldati contadini, furono invece destinati a lavorare nei campi dell’isola di Rodi, per le forniture alimentari alle truppe tedesche. Tra questi vi era Felice Cristino.

                                                

Nel gennaio 1944 a Montecalvo Irpino, in Via Roma, fu fondata la prima cellula locale del Partito comunista italiano, col nome di “Circolo di cultura della Sezione Comunista Giuseppe Cristino”, con la benedizione del parroco don Michele Bellaroba, sia alla sezione che alla bandiera rossa, ricamata da Vincenzina La Vigna, giovane dirigente della locale Azione cattolica. Tra i fondatori vi erano Antonio Smorto (confinato politico, che avrebbe sposato Vincenzina La Vigna), Antonio Giasullo, Antonio Pappano, Pompilio Santosuosso, Fedele Schiavone, Antonio Tedesco e altri militanti.

Nel 1945, finita la guerra, Felice Cristino tornò a casa. Nel 1946 divenne comunista, in un paese che sarebbe diventato una delle roccaforti rosse dell’Irpinia. Partecipava alle lotte aspre che vi erano in paese tra i rossi e la Democrazia cristiana, anche attraverso i canti pettegoli e politici. Sposatosi con Annunziata Blundo, ha avuto tre figli: Antonio, Michele e Maria. Era nonno e anche bisnonno. Il 1949 fu anno di grave carestia a Montecalvo e fu inventato un canto propiziatorio a S. Antonio da Padova, ricordato e cantato anche da Felice Cristino. Da giovane è stato bracciante e poi contadino e pastore. Viveva nella casa in campagna, nella terra di cui è stato per lungo tempo coltivatore-affittuario, divenendone dopo diversi anni proprietario. Si può dire che è vissuto della propria autosufficienza alimentare. Per lui, l’amicizia e l’ospitalità erano valori irrinunciabili e fondanti per incontri umani sempre vivi e stimolanti. “Nu cumpagnóne”, che rappresentava un crocevia della cultura orale locale ed una delle memorie più lucide dell’ormai scomparsa civiltà contadina

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Il capostipite fu Michele Cristino, che ebbe in moglie Maria Ruccio. Prima di Felice se ne sono andati i suoi fratelli Libera, Concetta, Santuccio, Antonio e Giovanni. Ne restano in vita quattro: Giuseppe, Mario, Agnese e Angela. Una famiglia che idealmente è stata sempre a sinistra, amica del già citato Antonio Smorto (Bagaladi (RC), 1909 – Castel D’Azzano (VR), 2007), antifascista calabrese confinato a Montecalvo nel 1943, che, oltre alla locale sezione del Partito comunista italiano, fondò la Camera del Lavoro. Agnese è vedova di Oreste e nuora del farmacista Pietro Cristino, antifascista e primo sindaco di Montecalvo Irpino, democraticamente eletto nel 1946, nonché cognata di Giuseppe, cui era intitolata la sede comunista montecalvese, martire antifascista, morto prigioniero del dittatore Francisco Franco in Spagna nel 1941, dove aveva partecipato alla guerra civile spagnola del 1936-1939, arruolato nella Brigata Garibaldi in difesa della Repubblica spagnola.

D’estate, raccolti a crocchio all’ombra del gelso davanti casa sua, dove convenivano spesso amici e parenti, ritornavano vicende vissute e miti del passato. Si realizzava quel che al Nord si chiamava il “filò”. Momenti tristi e momenti lieti, di un’epoca ormai andata, e Felice, per sollazzarci, ridere e scherzare, ci intonava un canto scaramantico, retaggio dei secoli passati, il cui testo qui si riporta.  Quannu móru // Quannu móru / ti lu llassu dittu, / lu vògliu nu tavùtu / di ricòtta, / atturnijàtu tuttu / d’óva fritti, / casu rattàtu / pi ssótt’e ppi ccòppa! / Li canniliéri / li bbògliu di sausìcchji, / l’acqua santa / nu bèllu vinu forte! / Po’ mi mittìti / ‘mmiézz’a ddóji figlióli / e mmi cantati / l’assèquiu, / ca nu’ mmóru! / (Quando muoio // Per quando muoio / mi raccomando a te, / voglio una bara / di ricotta, / contornata tutta / di uova fritte, / formaggio grattugiato / sotto e sopra! / I candelabri / li gradisco di salsicce, / per acqua santa / un bel vino forte! / Poi mi sistemate / in mezzo a due ragazze / e celebrerete / le mie esequie, / solo così io non sarò morto!).  Nota - È un chiaro esempio di come, nel mondo arcaico rurale, in cui la morte era sempre incombente, si cercasse di scongiurarla con l’abbondanza di vettovaglie e la complice e intrigante presenza della gioventù femminile.

(Questo testo, pubblicato sul Corriere-quotidiano dell’Irpinia il 3 febbraio 2010, è fruibile nel sito www.angelosiciliano.com).  

Zell, 1 febbraio 2010 Angelo Siciliano