Questa conferenza, a conclusione del programma predisposto dall’Assessorato alla cultura di Montecalvo, chiude le manifestazioni previste per le celebrazioni giubilari montecalvesi dedicate al nostro S. Pompilio Maria Pirrotti.

La parola giubileo, dalla bibbia, deriva dal termine ebraico “yôbêl” che vuol dire corno d’ariete. Questo era suonato nelle occasioni solenni: una di esse era l’ “anno del giubileo”. La legislazione ebraica prevedeva, ogni cinquanta anni, un anno particolare, in cui le terre erano restituite ai legittimi proprietari; il ciclo lavorativo ordinario era interrotto per consentire, grazie al maggese, il riposo dei terreni coltivati.; gli schiavi erano liberati e restituiti alle loro famiglie. Insomma il giubileo imponeva l’attuazione di misure eccezionali che, stravolgendo la vita sociale del popolo, azzeravano le differenze tra ricchi e poveri, latifondisti e nullatenenti, uomini liberi e schiavi.

Esso cercava di sanare gli squilibri che si erano consolidati nel cinquantennio precedente, prefigurando un modello di società ugualitario e solidale, in cui Dio era riconosciuto come unico signore.

Con la religione cattolica è stato papa Bonifacio VIII, nel 1300, ad introdurre l’ ”Anno santo” e nei secoli successivi la tradizione è stata conservata e tramandata.

L’ “Anno santo” del 2000 è il giubileo e il Vaticano ha predisposto un nutrito programma di pellegrinaggi, incontri, cerimonie, iniziative e celebrazioni anche spettacolari: circa due milioni di giovani sono confluiti a Roma in questi giorni, da tutto il mondo, per la Giornata mondiale della gioventù.

Il giubileo che è soprattutto un appello alla conversione, alla confessione, alla preghiera e alle attività caritative, in questo mondo diffusamente televisivizzato e globalizzato, appare come un avvenimento amplificato per fini di spettacolarizzazione, attraverso radio, tivù, internet e carta stampata.

Esso pone in gioco interessi enormi e assume significati differenti che attengono alla rivelazione biblica, la sociologia, l’economia, la teologia, l’uso dei media e soprattutto il marketing applicato al sacro.

In passato non era così: anche se ogni giubileo attirava a Roma, dai vari paesi europei, moltitudini di fedeli, soprannominati romei, era impensabile la risonanza che riesce a suscitare oggi la grancassa dei media.

Il basso tenore di vita, il modo di vivere semplice e le difficoltà di comunicazione ponevano seri limiti allo spostamento delle persone. Tuttavia i fedeli si avventuravano in pellegrinaggi, faticosi e irti di pericoli, anche al di fuori delle ricorrenze giubilari.

Sino alla metà del Novecento, anche da Montecalvo, partivano gruppi di pellegrini che percorrevano a piedi anche centinaia di chilometri, per raggiungere la loro meta rappresentata dai santuari. Pernottavano nelle taverne, dislocate lungo i tragitti. Erano viaggi di fede, che consentivano di fare conoscenza con altre realtà e socializzare. Nei luoghi sacri si pregava, si facevano voti e si ottenevano indulgenze. Lungo il cammino si cantava e nei luoghi di sosta si coglieva l’occasione per danzare la tarantella.

I fedeli partecipavano ai riti religiosi e alle celebrazioni festive del proprio paese e di quelli vicini.

Ma il sacro era vissuto, anche al di fuori della liturgia, attraverso i canti religiosi, le ninne nanne, le filastrocche, le preghiere, i detti: il tutto come tradizione orale che le generazioni dei secoli passati, epoche che dovevano apparire immutabili, hanno elaborato e tramandato.

Anche l’insieme delle operazioni che costituivano la “gestione del lutto”, dalla veglia del caro estinto al pianto funebre, al consolo e alla settimana di fuoco spento, può essere fatto rientrare nella sfera del sacro.

Del patrimonio sacro vernacolare montecalvese, di quella che fu la civiltà agro-pastorale, sono pervenuti a noi, grazie ai non molti anziani viventi, una ventina di canti sacri, funebri e ninne nanne che s’intrecciano col sacro, e un discreto numero di racconti sui santi, il cui contenuto è talvolta bonariamente dissacrante. Poi ci sono tanti detti e filastrocche con riferimento al sacro.

Accanto al sacro sono sopravvissuti i miti, risalenti alcuni all’era pagana, attenenti alla sfera del magico, che spesso avevano una funzione inibitoria per la popolazione.

 

 Angelo Siciliano, Tarantella montecalvese 2004 (disegno a matita).

Nella mitologia montecalvese è stato riscontrato quanto segue: Li ‘mbóddre, lu Travóne, lu ‘Mpussassàtu, la Scurzinàle, la pitàgna di li mavàri, li gghjanàri, li lupi pumpinàri, lu scazzamariéddru, lu Mamóne, li spìriti, Munitóre, Piétru Bajalàrdu, lu Ponte di li diàvuli e Ppréta pìcciula, e ttanta mmalisintènziji.

La maggior parte di questo materiale è con certezza dell’Ottocento. Qualche preghiera è addirittura medievale.

Ė legittimo supporre che questi testi, seppure con delle varianti, circolassero tra i contadini già nel Settecento, ma non è dato sapere se S. Pompilio, educatore di giovani e mistico, abbia avuto modo di ascoltarne qualcuno.

La cosa certa è che finora la memoria degli anziani non ci ha restituito canti o preghiere dedicati al santo. Dall’immaginario collettivo sono tuttavia affiorati tre frammenti, vagamente aneddotici, che lo riguardano. Il primo è un mini racconto che descrive S. Pompilio comunicatore con i morti presso la chiesa del Purgatorio, ora non più esistente, che era preso a sassate da ragazzi dispettosi. Egli, con calma serafica, allungava le mani dietro la propria schiena e riusciva a fermare tutti i sassi che lo avrebbero colpito. Il secondo riguarda i tunnel che servivano come vie di fuga dal castello. Uno di essi passerebbe nella cantina di casa Pirrotti, il cui ingresso è in via Lungara Fossi, e avrebbe sbocco presso la Fontana della Terra. Il terzo riguarda la salma della madre del santo, riesumata durante l’abbattimento della chiesa del Santissimo, gravemente danneggiata dal sisma del 1930. Le donne ricordavano la sua veste scura a pallini bianchi (a ucchjiciéddri).

 

 

Aniello Russo ha pubblicato un cofanetto contenente tre volumi: Canti religiosi, Leggende religiose, Almanacco religioso.

Si tratta di un’opera che ha richiesto, a lui e ai suoi collaboratori, grandi energie e uno sforzo finanziario personale non indifferente.

Il risultato raggiunto ripaga le fatiche sostenute e offre al lettore una lunga serie di testi inediti, alcuni dei quali straordinari, e un panorama insospettato del sacro popolare della nostra Irpinia, finalmente riemersi da un letargo che li avviava verso un’inesorabile scomparsa.

A giusta ragione si può parlare della riscoperta di un “giacimento culturale” salvato in estremis.

Dei canti è stata trascritta e pubblicata la musica. Ciò consentirà di poterne riprodurre la melodia per sempre.

Ė un’opera che rimarrà e ad essa dovrà necessariamente far riferimento in futuro, chi vorrà occuparsi del sacro nella cultura orale della nostra terra.

 

Montecalvo è rappresentato nei tre libri con otto canti, un racconto e una filastrocca.

 

Nel libro dei Canti religiosi, i comuni rappresentati sono 13 e i canti 50 così ripartiti: ciclo natalizio, ninne nanne, filastrocche, canti di questua, d’amore, processionali, satirici, narrativi, del viatico, funebri e pasquali.

 

Nel libro Racconti religiosi, i comuni sono oltre una trentina e i testi 101 riguardanti Gesù, S. Pietro, la Madonna, molti santi locali, storie di paura e storie d’amore.

 

Nell’Almanacco religioso i comuni sono 24 e i testi, costituiti da ninne nanne, filastrocche, canti di questua, d’amore, religiosi, forze del male, preghiere, antiche usanze, antiche credenze, pratiche magiche, riti divinatori, leggende e testi vari sono ripartiti secondo i giorni del calendario dell’anno.

 

(Si allegano i testi di due racconti religiosi montecalvesi inediti: Lu patrisuonnu, La carrara di Santu Jagu).

 

 

  Montecalvo, 21 agosto 2000

 

                                                                                                         Angelo Siciliano