Storia e descrizione di questa immagine simbolica

Una bandiera è un drappo di stoffa  si può leggere nel vocabolario , ad uno o più colori variamente disposti, spesso con stemmi o altri segni, attaccato ad un’asta. Grazie a quest’asta la si può sventolare. In cima ad un pennone si può ammirarla nel suo garrire al vento. E ora che i paesi dell’Unione Europea, dal primo maggio 2004, da quindici sono diventati venticinque, è un vero piacere, non solo per gli occhi, ma anche per lo spirito, potere ammirare davanti ai luoghi istituzionali così tante bandiere, nei loro variopinti e festosi colori. Nella storia umana non si riscontra un altro simbolo, cui siano stati attribuiti così tanti significati, a volte tragici, a volte gloriosi. A seconda dei punti di vista, una bandiera può essere odiata perché la si identifica col nemico, e fatta oggetto d’incendio in pubblico, oppure amata fino al sacrificio di sé. Per una bandiera, sotto i suoi colori, si sono combattute guerre sanguinose e spesso dei soldati si sono coperti di gloria. Per la patria, si dice. E questa, la terra dei padri fondatori della società nazionale, ne riconosce le gesta, li copre di onorificenze e i più valorosi li ricorda nei testi di storia.

Dalla patria discende l’amor patrio. Alla patria è associato anche l’inno nazionale, suonato o cantato in alcune cerimonie istituzionali ufficiali.

Di bandiere ve ne sono una varietà infinita. Da quella del gruppo sociale d’appartenenza a quella del quartiere in cui si è nati; da quella del proprio partito politico a quella dell’esercito per cui si combatte; da quella del proprio comune a quella del proprio Stato. Poi ci sono le bandiere delle federazioni o unioni di stati.

Non sono da meno gli ambiti sportivi, in quanto a bandiere. Se, metaforicamente, un grande calciatore è insieme un idolo e una bandiera per i tifosi della propria squadra, si sa che ogni squadra ha i propri colori e con essi è decorata la sua bandiera. Ogni squadra ha la propria bandiera, con sopra stampati i trofei importanti conquistati. E gli stadi, nei giorni di gara, si riempiono di tifosi che espongono i propri striscioni e sventolano le bandiere con i colori della propria squadra.

Una bandiera può essere esposta in modi differenti: alzata, spiegata, abbrunata, a mezz’asta, ammainata, abbassata. E ogni volta essa assume un significato differente.

Le bandiere fatte di un solo colore hanno anch’esse un significato preciso: il giallo sta per epidemia; il bianco è segno di resa; il nero era dei nazi-fascisti; il rosso è prerogativa dei partiti politici di sinistra.

Una bandiera, pur costituendo un simbolo emblematico, non dura in eterno e spesso, come tutte le cose umane, essa nasce, vive e muore. Alcune delle bandiere che sono sparite, in modo eclatante, in questi ultimi anni sono quelle della ex URSS, della ex Repubblica Democratica Tedesca (DDR) e della ex Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia.

I molti paesi, che si sono liberati del giogo comunista, hanno in genere riadottato le bandiere che avevano prima della guerra fredda.

Tra le nuove bandiere è da annoverare senz’altro quella della Pace. Da oltre un anno ha molto sventolato, esposta alle finestre non solo degli italiani, purtroppo senza risultati tangibili contro la guerra in Iraq.

Va anche detto che la bandiera, come tutti i simboli che attengono al profondo delle passioni umane, si ammanta spesso di retorica, soprattutto nelle cerimonie ufficiali, e questo non fa che creare un senso di disagio e distacco per la gente.

Anche se molte bandiere sono a tre colori, quando si parla di “tricolore”, s’intende la bandiera italiana. Il tricolore è la nostra bandiera, come sancisce l’art. 12 della Costituzione, scelta come tale dall’Assemblea Costituente nel 1947 e adottata ufficialmente dal 1° gennaio 1948. Esso trae origine dallo stendardo che Napoleone adoperò nella campagna d’Italia del 1796 e che fu adottato, per la prima volta come bandiera, dal Parlamento della Repubblica Cispadana a Reggio Emilia, il 7 gennaio 1797.

Il tricolore, con sopra impresso lo stemma dei Savoia, era stato la bandiera del regno d’Italia dal 1861 al 1946, anno della sua caduta, a seguito del referendum popolare.

Il nostro tricolore è a tre bande verticali di uguali dimensioni, con i colori verde, bianco e rosso. Ma le bandiere della nostra marina mercantile e quella della nostra marina militare, sul tricolore riportano uno scudo, nei cui quarti sono ricordate le quattro repubbliche marinare: Venezia con il leone alato di S. Marco reggente un libro aperto; Genova con la croce rossa di S. Giorgio; Amalfi con la croce maltese; Pisa con la croce pisana. Lo scudo della marina militare è diverso da quello della marina mercantile, perché è sovrastato da una corona navale e il suo leone di San Marco impugna una spada.

Occorre descrivere anche lo stemma del nostro Stato. Rami d’ulivo a sinistra e di quercia a destra, simboli di pace e di forza, racchiudono la stella, che rappresenta la nazione, e la ruota dentata, che significa il lavoro. Un sottostante cartiglio riporta la scritta “REPUBBLICA ITALIANA”.

In tema di bandiere, la domanda che è legittimo porsi oggi, in un’Europa più allargata e riunita e in un mondo sempre più globalizzato, è la seguente: ma il tricolore è sentito ancora come la bandiera di tutti noi italiani? La risposta, purtroppo, non può essere affermativa.

Gli italiani di una certa età, quelli che, pagando di persona, hanno contribuito a fare dell’Italia il paese libero in cui viviamo, alla nostra bandiera ci credono ancora e soffrono nel vedere come essa e certi valori fondanti della nostra Repubblica sono spesso negati o vilipesi.

Altrettanto non può dirsi di altri italiani.

Buona parte dei nostri giovani, purtroppo, è distratta e allettata dai reality show e altre trasmissioni dell’effimero in tivù, dell’attuale civiltà mediatica. È lontana dalla storia degli eventi che ci riguardano. Se ciò fosse dovuto al fatto che si è proiettati verso un’Europa più integrata politicamente, con un rinnovato senso d’appartenenza, la cosa sarebbe non solo accettabile, ma anche giustificata e auspicabile. Ma forse le cose stanno diversamente.

E poi c’è chi rema contro. Molti telespettatori ricorderanno l’ira gridata di Umberto Bossi, durante un suo comizio rituale a Venezia, all’indirizzo di una signora che, come un affronto nei confronti dei leghisti, si ostinava a esporre dalla sua finestra il tricolore.

Dall’altro canto è commovente come il nostro Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, non perda occasione di esaltare le virtù italiche, la nostra operosità e ciò che ritiene i simboli della nostra unità nazionale: il Tricolore, che gli italiani dovrebbero amare di più e prendere l’abitudine di esporre alle proprie finestre, e l’Inno di Mameli, il cui testo andrebbe memorizzato anche dai nostri atleti e calciatori, e cantato, mentre sono inquadrati dalle telecamere, prima o dopo le gare sportive.

Basterà questo per risalire la china, su cui è avviato da qualche tempo il nostro paese, e sanare il clima di sfiducia diffuso che attanaglia la gente? Probabilmente no.

Può essere consolante pensare che l’Italia ha attraversato e superato momenti peggiori in passato, ma per un futuro migliore servono certezze e qualche speranza in più.

Il nostro paese, nonostante tutto, è in grado d’integrare gli stranieri arrivati da lontano e con culture diverse. I loro figli saranno cittadini italiani. Forse saranno loro ad amare, più di noi, il tricolore e chissà, che non cantino il nostro inno nazionale!

 

            Pubblicato sul n. 341 della rivista U. C. T. di maggio 2004.

 

                        Zell, 3 maggio 2004

                                                                                              Angelo Siciliano

 


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