- Scritto da Angelo Siciliano
Testo di Angelo Siciliano tratto dal libro “Lo zio d’America”, pubblicato dall’editore Menna di Avellino nel 1988. Nota Almeno all’inizio della propria esistenza, il maiale viveva in simbiosi con la famiglia contadina.Era in semilibertà e seguiva i padroni nella campagna. Fattosi più grande, era necessario chiuderlo in un porcile, róddra, e qui, salvo brevi momenti di libertà, era recluso sino alla fine dei suoi giorni.Se tendeva a scavare la terra col suo grugno, gli veniva applicato un fil di ferro alla punta del naso e ciò lo scoraggiava dal proseguire nella sua innata voglia di dissodatore, perché quel ferro a ogni affondo gli procurava dolore. Il maiale era la riserva di proteine e di grasso per tutto l’anno per la famiglia contadina, grazie ai salumi, al lardo, alla ventresca, al guanciale, alle spalle, ai prosciutti e ai capicolli trattati in salamoia, che si appendevano ad asciugare alla pertica in cucina, e alle costine e soppressate sott’olio o sotto sugna, buone anche in estate. Sciogliendo parte del lardo, si ottenevano la sugna o strutto, con cui riempire vasi e vesciche, e, come scorie, li ccìguli, i ciccioli. Con i ciccioli ancora si fanno li ppizzi e li turtaniéddri cu li ccìculi, pizzette e grosse ciambelle con i ciccioli, molto gustose. Si diceva che del maiale ‘n zi jittàva nienti, non si buttasse nulla.
- Scritto da Angelo Siciliano
LU ZIJU DI L’AMERICA Testo di Angelo Siciliano, tratto dal libro “Lo zio d’America”, edito dall’editore Menna di Avellino nel 1988. Nota : Questo testo rispecchia più o meno fedelmente quel mondo di affetti divisi, patrimonio comune sino agli anni Sessanta del Novecento e raccontato durante i lavori nei campi o dalle donne alle fontane e ai lavatoi pubblici.Fino a quegli anni, qualche ragazzo o ragazza ancora partiva dal paese per l’America, dopo aver contratto matrimonio per procura con qualche discendente degli emigrati di inizio Novecento. Lo zio in questione è il mio prozio Pompilio Iannone. Quando, una ventina di anni fa, chiesi a un mio amico, che aveva pure lui dei parenti americani, di tradurre in inglese questo testo, come aveva già fatto con un’altra mia poesia, mi rispose che, nonostante la bellezza struggente del contenuto, non se la sentiva. Aveva troppo rispetto per i parenti, ormai americani di seconda e terza generazione. Rispetto che lui estendeva alla memoria dei parenti emigrati scomparsi, che si erano trovati di fronte una realtà sconosciuta nel Nuovo Mondo, dove incontravano difficoltà non meno dure e pesanti, rispetto a quelle che si erano lasciati alle spalle e che affrontavano da sempre quelli rimasti in paese.
- Scritto da Angelo Siciliano
- Scritto da Angelo Siciliano
FELICE CRISTINO CI HA LASCIATO
Un affabile e ospitale patriarca, depositario dei canti arcaici montecalvesi e una delle ultime “biblioteche” viventi della civiltà contadina Felice Cristino, “zi’ Filìci Pannucciéddru”, nato a Montecalvo Irpino (AV) il 23 dicembre 1921, in una numerosa famiglia patriarcale contadina con dieci figli – quattro femmine e sei maschi –, ci ha lasciato la mattina del 1° febbraio 2010. Grande cantatore, col fratello Giovanni (Montecalvo Irpino, 1933-2005), di canti politici e sociali, funebri, ballate e del poema montecalvese “Angelica” di 107 quartine, l’unico riscontrato in Irpinia, era un raffinato affabulatore e poeta contadino. Era anche alfabetizzato, il che non guastava.