Testo di Angelo Siciliano tratto da “Lo zio d’America”, pubblicato dall’editore Menna di Avellino nel 1988.
Nota
Il personaggio di questo testo è don Michele Bellaroba, canonico di Montecalvo Irpino (Av) nella prima metà del ‘900.
Abitava nel palazzo di famiglia, nella parte occidentale del rione abbandonato del Trappeto, in cui vivevano anche sua sorella erborista e la numerosa famiglia di suo fratello sordomuto, noto come “lu mupu di Garibaldi”.
Il palazzo era alto due piani e aveva un tetto a terrazza, su cui era installata una Stazione Meteopluviometrica, creata dal canonico, ed era provvista di pluviometro, anemometro, sismografo e rivelatore di temperatura, tutte apparecchiature funzionanti fino al sisma del 21 agosto 1962 che comportò l’abbandono del palazzo.
Nel 1944, Antonio Smorto, confinato politico antifascista calabrese, fondava con alcuni militanti montecalvesi, in Via Roma a Montecalvo Irpino, la prima cellula locale del Partito comunista italiano e don Michele Bellaroba benediceva sia la sezione del partito che la bandiera rossa, ricamata da Vincenzina La Vigna, giovane dirigente della locale Azione Cattolica femminile, che poi sarebbe diventata la moglie di Smorto.
Smorto istituiva anche la locale Camera del Lavoro, ubicata in un locale al pianterreno del comune di Montecalvo in piazza Porta della Terra, che avrebbe tutelato i diritti dei braccianti, di solito ingaggiati dai massari, e degli altri lavoratori del paese.

Questo cunto lo raccontava il contadino “’Ndòniju sciscióne” quando mia madre lo ingaggiava per qualche giornata di lavoro per la semina del grano nella nostra campagna alla Costa della Mènola. Anche lui di cognome faceva Bellaroba, abitava al Trappeto, poco distante dal palazzo Bellaroba, nella via sotto la farmacia D’Addona. Lavorava un campo a mezzadria alla Ripa della Conca, di proprietà di “Simunèlla”, con sua moglie “Rusìna Picèciu” e d’estate vivevano in una grotta, davanti alla quale lui aveva edificato un pollaio e un forno in pietre e argilla. Avevano un figlio di nome Saverio, andato gualano presso un massaro di Benevento, mentre il figlio più grande, di nome Fedele, era morto soldato a Modena per un bombardamento americano poco dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Personalmente lo incontrai per caso l’ultima volta nel gennaio 1965, nel viale Melluso a Benevento, dove mi recavo per il corso di guida per la patente dell’auto. Lui, dopo la morte della moglie, si era trasferito a vivere dal figlio Saverio.
Le case del Trappeto ormai stanno venendo giù e anche il palazzo Bellaroba ha cominciato a crollare dal 2020.