In questo testo dedicato a Silvia, maestra, nubile matriarca, si dipana un microgroviglio genealogico della famiglia di Alfonso Caccese, discendente di due nonni artigiani, quello paterno, sarto, e quello materno postino (Cilàrdu Lanza lu pustiéru). Alfonso, abbagliato e folgorato nel 2002 dall’urgenza del recupero della nostra civiltà agro-pastorale, volontariamente si arruolava per la bisogna. La Vija Nóva, oggi Viale dei Pini , che parte da Piazza Porta della Terra, sede del Municipio, era la strada dei fabbri, anch’essi parenti di Alfonso. In cima a Via Costa dell’Angelo (‘nfacc’a la Còsta o Sagliùta di l’Àgnulu) vi erano altri fabbri. In entrambe le vie si configuravano due ambienti assai pittoreschi: voci, grida, ragli, nitriti, squilli metallici, possenti e rimbombanti del ferro incandescente martellato sull’incudine (‘ncuójina), fumo di zoccoli bruciati (addóre d’ógna di ciucciu) a contatto del ferro sagomato, puzza di sterco (stiéru).
Capitava di assistere a scene piccanti molto teatrali, salaci prese in giro, turpiloqui, pettegolezzi su fatti reali o verosimili, relativi a una microrealtà, in cui scorreva una parte della linfa vitale, di quella laboriosità paesana che tutto sommato era alla base di una tranquilla coesistenza. La sippónda, sostegno materiale o affettivo, consisteva nella consuetudine di attribuire a un neonato il nome appartenente a un familiare(sippundàni) vivente o già scomparso, di solito un nonno o uno zio, com’era tradizione anche presso i nobili.I cicatiéddri, gnocchi di farina di grano duro fatti in casa, sono cavati dalla massaia su un tavoliere di legno (tavulìddru) da una biscia di pasta (cìngulu), con le dita della mano destra.
|